Azione e parole: lo psicodramma nel lavoro con gli adolescenti

Nella terapia con gli adolescenti ci si trova a confrontarsi con la difficoltà dei giovani ad esprimere i propri disagi e sofferenze con la tendenza ad utilizzare degli agiti invece delle parole. Lo psicodramma si situa nello spazio tra la parola e l’acting-out poichè richiede all’adolescente di agire, mettere in scena la propria sofferenza, la sua rabbia.
La rappresentazione di situazioni di vita reale o onirica richiedono al giovane di mettersi in gioco, di muoversi lasciando ad una seconda fase la parola. Malgrado il pensiero sia sempre sollecitato, può utilizzare divesi canali di espressione, il gruppo è a volte il traduttore della sofferenza dal gesto alla parola, permettendo al protagonisita di sentirsi accettato, compreso, e quindi di avere uno spazio per accettarsi e comprendersi egli stesso

All’interno dei giochi, laddove si interpreta una famiglia, viene riproposto il modello di comportamento che il giovane utilizza nella vita quotidiana, scene che possono avvenire in tutte le famiglie. Lo script1, per citare Byng-Hall. Quando si “gioca” la famiglia, emergono i ruoli che usualmente il genitore o il figlio hanno nel contesto della situazione rappresentata, portando alla luce, miti e “pregiudizi”. Il ruolo che il figlio si trova attribuito dai genitori alla nascita è, infatti, veicolato alle esperienze dei genitori, sia nella famiglia di origine, che nella quotidianità, in forma ad esempio di aspirazioni mancate, che il figlio si trova a dover realizzare, o vissuti mitizzati che sono la modalità di relazione riconosciuta come unica possibile dalla famiglia (ad esempio un padre che ricorda esperienze gratificanti e le porta come modello di comportamento in situazioni analoghe del figlio)2. La possibilità di riprodurre il modello familiare e non trovare negli altri “attori” i comportamenti usuali permette al giovane di percepire la possibilità che esistano altri modi di relazione e far emergere drammi interiori dovuti alla difficoltà di “recitare” il ruolo richiesto dalla famiglia (es. essere un bravo studente come il padre). Nasce la possibilità di costruire una nuova storia.
Il tempo, nello spazio rappresentativo, viene manipolato, si accorcia o si allunga. I pazienti da soli o in interazione con altri vivono in un tempo reale che si ferma all’inizio del gioco per tornare indietro (nella messa in scena di eventi passati o quando si interpreta un bambino) o balzare in avanti (nell’interpretare un genitore o un nonno o il proprio futuro auspicato in cui tutto è a posto). Questa manipolazione è riconducibile a quella possibile in terapia dove si può presentificare il passato o il futuro.
La possibilità di avere un gruppo di riferimento di pari, poi, diviene terapeutico al momento della restituzione. Durante il gioco, ognuno rappresenta ciò che conosce (ha vissuto) o in mancanza ciò che desidererebbe avere (un padre affettuoso, un amico presente, ecc.), costruendo varie storie in cui sperimentarsi, in interazioni diverse, da punti di vista differenti così da vivere la situazione, ad esempio, dal punto di vista di una madre. Nel momento successivo, quando si parla del gioco appena avvenuto, ci si confronta, il comportamento rappresentato viene analizzato anche dagli altri ragazzi portando in luce aspetti dell’interazione che non erano percepiti chiaramente dal soggetto rappresentante. Il modo di fare la mamma, ad esempio, oppure come da figlio si relaziona col padre. Il parere può venire da uno del gruppo vissuto come “leader”, soggetto carismatico o da un altro dei presenti, in quel momento magari considerato più competente.
Un altro aspetto importante è la possibilità di giocare delle metafore, così se durante il colloquio iniziale si parla “di quella strega di mia sorella”, si può poi giocare una situazione dove la strega diviene fata o dove subisce un processo, in cui giudice, strega, testimoni, avvocato e pubblico ministero sono ruoli che vengono alternati fra tutti i partecipanti al gruppo. Consentendo la nascita di nuovi significati, del venire alla luce di sentimenti e pensieri che appaiono comprensibili sia al terapeuta che al paziente nello stesso momento.
Vi è, anche, la possibilità di sperimentare nuove modalità di funzionamento e più personaggi durante la seduta, permettendo al giovane di vedere le possibili reazioni che questa modificazione porterebbe.
Quando s’imposta una seduta sono sempre tenute in considerazione le ipotesi che si hanno sui partecipanti, in modo da inscenare le situazioni maggiormente adatte così da permettere ai ragazzi di viverle in un contesto diverso, con maggiori possibilità di trovare nuove soluzioni a problemi magari perduranti.
L’azione diviene comunicazione che veicola emozioni a cui è, comunque, data la parola. In modo da fornire anche i termini per poter esprimere contenuti difficili. Gli stessi terapisti sono coinvolti nell’azione, partecipanti, osservati ed osservanti sono emotivamente toccati.
Lo psicodramma offre la possibilità all’adolescente di trovarsi con altri pari in uno spazio gestito dal terapeuta che agevola il gioco che emerge dagli stessi partecipanti. La ricerca di nuovi significati, nuove possibilità, si ritrova nella maggiore possibilità di confronto. Teen-ager che trovano un loro spazio, non a parlare davanti a mamma e papà ma fare di fronte ad altri simili a lui. La possibilità di non dire ma mostrare, permette una maggiore possibilità espressiva laddove si incontrano temi di cui non si può parlare.