I Peter Pan e i Manolescent: la difficoltà di crescere.

«Tutti gli eventi importanti della vita sono collegati a rituali elaborati che hanno lo scopo di distaccare la persona dallo stadio precedente della sua esistenza e di aiutarla a trasferire le sue energie psichiche nella fase successiva». Carl Gustav Jung

Il moderno Peter Pan

Nel 1983 con la pubblicazione del libro di Dan Kiley, intitolato The Peter Pan Syndrome: Men Who Have Never Grown Up, si pone all’attenzione un quadro comportamentale in cui una persona non vuole crescere o maturare, ovvero non riesce a superare o fare a meno della fase egocentrica, narcisista e immatura tipica dei bambini. In termini scientifici si parla di neotenia psichica, ovvero quella situazione psicologica in cui si trova una persona che si rifiuta, o è incapace di crescere, di diventare adulta e di assumersi delle responsabilità. La sindrome è una condizione in cui un soggetto rifiuta di operare nel mondo “degli adulti” in quanto lo ritiene ostile e si rifugia in comportamenti ed in regole comportamentali tipiche della fanciullezza. Questo particolare quadro clinico non è presente nel DSM V, la sindrome che non è riconosciuta quale psicopatologia, si tratta in effetti di un modello comportamentale che può portare disadattamento e varie psicopatologie.

La sindrome di Peter Pan quindi descrive l’atteggiamento di chi rifiutandosi di crescere, di assumersi responsabilità, e di fare delle scelte si blocca in un periodo infantile della vita: si parla di persone immature che hanno paura di crescere, in fuga dalla realtà o da se stessi e spesso caratterizzati dall’incapacità di amare.

Il Peter Pan è un adulto che si comporta come un bambino, che vive senza regole, quasi sempre perché non gli sono mai state imposte o insegnate. Un po’ a causa della famiglia, un po’ a causa della società che ha spalancato i confini delle nostre scelte, senza però offrire una guida per orientarci nel mare delle possibilità, né la possibilità effettiva di compiere alcune di quelle scelte. L’adulto Peter Pan crede che ogni cosa che implichi un certo grado di responsabilità mette a rischio la sua libertà, per cui si impegna ad evitare le responsabilità che teme. Chi ne soffre infatti tende a sgravarsi facilmente di ogni responsabilità attribuendole regolarmente al mondo esterno, al partner, ai genitori, ai colleghi agli amici. Tutti, tranne lui.

I Peter Pan sono affetti dal terrore dell’impegno. Questo non significa che la persona non voglia avere una relazione affettiva ma che ci saranno dei momenti in cui non vorrà andare oltre: è difficile che pensi di sposarsi, di comprare casa con il partner o di analizzare a fondo problemi che potrebbero compromettere la relazione e la sua libertà.

Dietro la facciata di persona estroversa, divertente e intelligente, si nasconde un individuo manipolatore spaventato dai cambiamenti. Ma è in grado di passare da una passione all’altra. Si attacca temporaneamente ed intensamente alle cose materiali e alle persone e, quando ne trova una nuova abbandonano il resto.

Questo è oramai un profilo comune nella nostra società. La pubblicità fomenta l’eterna giovinezza e l’edonismo, le opportunità lavorative sono scarse, la dipendenza economica e quindi la convivenza coi genitori si protrae nel tempo, con loro, quindi aumenta l’incidenza di questo comportamento. Le persone che manifestano la sindrome di Peter Pan sono in prevalenza uomini, quasi sempre non si rendono conto di soffrirne e spesso accusano anche altri disturbi come ansia, sbalzi d’umore e sintomi psicosomatici

Un Peter Pan si identifica dalla presenza di alcune caratteristiche: non accettazione delle responsabilità, incapacità di mantenere relazioni stabili in amore, rifiuto di lavorare costantemente, egocentrismo, tratti narcisistici, negazione della sofferenza e dell’ingiustizia, irresponsabilità, comportamenti tipici dell’infanzia, eccessivo idealismo, la paura di impegnarsi, un atteggiamento di tipo manipolativo e il passare da una passione all’altra.

I manolescent

Attualmente si assiste ad all’emergere di un altro quadro comportamentale interessante legato alla difficoltà di maturare e raggiungere gli step adulti, quello degli eterni adolescenti: i manolescent. E’ un fenomeno europeo e americano, rivelato non solo da studi psicologici ma anche sociologici e di marketing. Le tipologie di consumo, gli stili di vita, le scelte di investimento e il comportamento lavorativo, rendono possibile individuare una fascia di “adolescenti di mezza età”, che va dai 35 ai 54 anni.

Sono persone normali lavorano, portano avanti una famiglia, allevano figli, assistono i genitori e magari sono anche impegnati nel sociale. Non sono quindi dei Peter Pan, anzi si assumono responsabilità, si impegnano. Pur essendo in apparente sintonia con l’età anagrafica mostrano pensieri, comportamenti, e vissuti tipici dell’età adolescenziale. Vivono una vita da adulti con modalità da ragazzi, prolungando di fatto, in modo anomalo, il periodo adolescenziale, impedendo il sentirsi pienamente adulti e maturi.

Se questo costituisce l’unico equilibrio possibile per quella persona, si tratta però di un equilibrio illusorio dettato dalla difficoltà di lasciarsi abbandonare alla scoperta e alla fioritura di una fase di vita successiva. La causa di tali ritardi non è da ricercarsi soltanto nei fattori genetici degli individui, ma soprattutto nei fattori ambientali, sociali e culturali.

Secondo una ricerca della San Diego State University e del Bryn Mawr College, pubblicata dalla rivista “Child Development”, “la traiettoria di sviluppo dell’adolescenza ha rallentato e i ragazzi di oggi crescono più lentamente rispetto al passato”, spiega Jean Twenge, professore di psicologia presso la San Diego State University e autore principale dello studio. Nel loro studio i ricercatori hanno esaminato quanto spesso gli adolescenti esercitano attività tipiche dell’età adulta, come lavorare dietro retribuzione, fare viaggi senza i genitori, guidare e fare sesso. Gli stessi studiosi hanno anche esaminato come i cambiamenti nella dimensione della famiglia, nella speranza di vita, nell’educazione e nell’economia, che possano avere influenzato la velocità con cui i ragazzi crescono e intraprendono attività adulte. Lo studio ha poi concluso che gli adolescenti di oggi sono in ritardo di circa tre anni di media rispetto ai loro omologhi dei decenni precedenti.

La psicologa britannica Laverne Antrobus afferma che i giovani mancano di maturità emotiva, l’adolescenza si estende spesso fino ai 25 anni di età. Il sociologo Frank Furedi, parla di “infantilizzazione dei giovani”. Essi impiegano più tempo per assumersi delle responsabilità ma anche per fruire dei piaceri adulti, tendenza che riflette il clima attuale della società. «Oggi, le persone diventano adulte molto dopo rispetto alle generazioni passate», conferma anche il sociologo svizzero François Höpflinger, un esempio è dato anche dal fatto che si fonda una famiglia e si esce dalla casa dei genitori sempre più tardi. Questo fattore è influenzato anche dagli studi che protraendosi li portano ad essere dipendenti dai genitori più a lungo. Se i giovani non si devono assumere molte responsabilità fino ai 25-30 anni, si promuove sempre più l’infantilizzazione. I figli oggi sono in una situazione di dipendenza. Sia perché gli adulti li “proteggono” troppo, sia perché a volte mancano le opportunità nel mondo fuori. Tra i 20 e i 30 anni sono molti i giovani che non si possono mantenere. La maturità arriva sempre più tardi anche a causa del comportamento degli adulti. Tatuaggi, piercing, vestiti di tendenza, party, serate in discoteca e altri comportamenti solitamente indicatori di un periodo della vita caratterizzato dalla ribellione, dagli eccessi e dall’impulsività da tempo non sono più solo appannaggio dei giovani. E’ il mito della giovinezza e della bellezza alla cui diffusione contribuiscono in larga misura i media dell’immagine. Secondo Peter Titzmann dell’Università di Zurigo per questo si manifesta «una fase prolungata della ricerca identitaria e del periodo di sperimentazione che le generazioni passate non vivevano». L’adolescente adulto vive un’inquietudine smaniosa: non è contento di quello che è, che ha e che fa, ma non sa in realtà cosa vuole. Si lamenta molto, ma non fa niente per cambiare, ha scatti di rabbia, ma poi ripiega le ali. Si innamora, anzi si invaghisce, ma spesso solo di chi lo fa sentire un mito, non fa il passo successivo di impegno, non trasforma l’innamoramento in amore. Quando le cose non vanno bene, non riesce a separarsi dal coniuge, per paura del giudizio. Se viene valorizzato, si sente giovane e bello e passa molto tempo allo specchio: in realtà però non si piace, ma gli piace l’immagine di sé e per questo fa di tutto per mantenersi giovane. La moto, l’auto sportiva, il partner più giovane, le vacanza esotiche, sapere di avere tanti amici e contatti sono elementi fondamentali per il suo precario equilibrio: un piccolo calo di immagine e la demotivazione è dietro l’angolo.

Vivere così non è una scelta libera come potrebbe a prima vista apparire, ma è figlia di un passaggio di crescita non riuscito, perché un corpo e un cervello di 40 anni hanno per natura bisogno di una psiche di 40 anni. In questo senso è importante riflettere sul fatto che la vita è una continua rinascita, fermarsi fino ad intrappolarsi ad un gradino come quello dell’adolescenza non permetterà un sereno passaggio alla successiva fase della vita.

Ogni età della vita è un gradino senza il quale non si può passare psicologicamente a quello successivo. Bisogna corrispondere alla propria età, o il passaggio da adolescente ad anziano, senza passare dall’adulto sarà drammatico.