Pragmatica della comunicazione: Watzlawick & Co.

Metacomunicazione: comunicare sulla comunicazione

Il termine “comunicazione” – dal latino “com”,  “con”, e “munire”, ovvero “legare” – significa “mettere in comune”, cioè condividere pensieri, opinioni, esperienze, sensazioni e sentimenti con gli altri. Indica principalmente una serie di fenomeni che comportano il trasferimento di informazioni. La comunicazione pervade e influenza continuamente la nostra vita quotidiana: tutti abbiamo bisogno di relazionarci al mondo che ci circonda e di saper comunicare efficacemente.

Si comunica, infatti, tutti i giorni, con chiunque, attraverso parole e gesti consapevolmente e non, per raggiungere obiettivi, descrivere eventi, suscitare emozioni e stabilire relazioni sociali. Con la comunicazione si crea la realtà e a volte una visione distorta della stessa che può portare alla psicopatologia. È uno strumento che influenza le interazioni con amici, partner, colleghi, sconosciuti, capace di determinarne l’andamento positivo o negativo.

Paul Watzlawick e collaboratori, il gruppo di ricerca della scuola di Paolo Alto, hanno studiato e analizzato la comunicazione, la sua influenza e gli effetti che ha sul comportamento fra le persone, dscrivendone le carratteristiche fondamentali nel libro “Pragmatica della comunicazione umana” (1967). Dai loro studi, iniziati più di cinquant’anni fa, si sono avviate diverse ricerche e formulazioni.

La complessa analisi di un infinito mondo di azioni e retroazioni è stata riassunta dagli autori in cinque assiomi, che sono diventati dei pilastri dello studio della comunicazione umana. Watzlawick e colleghi individuano alcune semplici proprietà sono delle caratteristiche sempre presenti in ogni comunicazione umana. Nel linguaggio matematico, da cui gli autori hanno attinto il termine, sono delle verità evidenti e indiscutibili alla base di numerose dimostrazione e teoremi.

Vediamo quindi i 5 assiomi:

assioma: l’impossibilità di non comunicare

Il comportamento non ha un suo opposto non esiste un non-comportamento, e visto che il comportamento è comunicazione non è possibile non comunicare. Pertanto, qualsiasi azione volontaria o involontaria equivale a un messaggio che influenza l’altro ed esprime un significato. Anche il silenzio, l’assenza, l’indifferenza, la passività e l’inattività sono forme di comunicazione identiche alle altre: comunica di non voler comunicare, esprimono la nostra esigenza di non parlare, di stare soli, il nostro disinteresse, portano con sé, comunque, un significato quindi possiedono un valore e un messaggio al quale gli altri non possono non reagire.

La comunicazione può essere involontaria, non intenzionale, non conscia e addirittura inefficace.

A questo punto non dobbiamo domandarci “se” una persona stia comunicando, ma “cosa” e “come” stia comunicando, sempre, in ogni situazione o contesto. Per esempio due persone si incontrano in treno, sconosciuti, possono comunicare attraverso i loro silenzi e la loro indifferenza, il loro stato d’animo e la loro volontà, di non conoscersi, oppure anche solo con un sorriso un’apertura al dialogo. Due estranei che si trovano per caso nello stesso ascensore molto probabilmente si ignoreranno ed eviteranno il dialogo, ma tale silenzio rappresenta un’interazione, alla pari di una discussione accesa.

Qualunque cosa fai o dici, qualunque scelta (dai vestiti alla macchina, da ciò che leggi allo sport che pratichi o che non pratichi) comunica qualcosa agli altri e a te stesso.

assioma: livelli comunicativi di contenuto e di relazione

All’interno di ogni atto comunicativo vanno distinti due livelli, un livello di contenuto e uno di relazione, tale per cui il secondo conferisce significato al primo. Il primo è il livello del contenuto, che dice che cosa stai comunicando. Il secondo è il livello della relazione, che dice che tipo di relazione vuoi instaurare con la persona a cui la rivolgi. Oltre al contenuto oggettivo del linguaggio, ossia le informazioni trasmesse, c’è anche un aspetto che definisce la relazione stessa dei soggetti interessati.

Ad esempio la frase “Chiudi la finestra” esprime un contenuto (la richiesta di chiudere la finestra), ma potrebbe essere detta con tono pacato o aggressivo, stabilendo due tipi di relazioni diverse con l’interlocutore: ciò indica che il livello di relazione suggerisce come dev’essere interpretato il contenuto della comunicazione stessa.

Il modo con cui si esprime il messaggio definisce la relazione che intercorre tra colui che comunica e chi riceve la comunicazione. Si parla di metacomunicazione, ovvero il parlare sulla comunicazione, non del contenuto, delle informazioni, trasmesse ma di quegli elementi, come il tono, il modo, che chiariscono il rapporto che intercorre tra coloro che comunicano. Ad esempio, in uno scambio tra un sergente e un soldato, il primo esprime un ordine che, oltre al contenuto (cioè la volontà che il destinatario del messaggio compia una determinata azione), esprime anche la relazione che intercorre tra chi comunica e chi è oggetto della comunicazione, nel caso particolare quella di superiore/subordinato.

3° assioma: la punteggiatura della sequenza di eventi

Questo assioma tratta dell’interazione tra i comunicanti. Il modo di interpretare una comunicazione dipende da come viene ordinata la sequenza delle comunicazioni fatte, un osservatore può considerare una serie di comunicazioni come una sequenza initerrotta di scambi però a seconda della “punteggiatura” usata, cambia il significato dato alla comunicazione e alla relazione. La comunicazione comprende diverse versioni della realtà, che si creano e modificano durante l’interazione tra più individui. Queste diverse interpretazioni dipendono dalla punteggiatura della sequenza degli eventi, ossia dal modo in cui ognuno tende a credere che l’unica versione possibile dei fatti sia la propria, la punteggiatura organizza gli eventi comportamentali.

Per esempio, una coppia ha un problema coniugale, ciascun coniuge ne è responsabile al 50%, ma ognuno dichiara di reagire in un determinato modo in conseguenza del comportamento dell’altro. Lui si chiude in se stesso e lei si altera. Quando spiegano le loro frustrazioni lui racconta che si chiude perché lei critica, lei invece dice che si altera perché lui si chiude. Un altro esempio simpatico riporta la relazione tra cavia e sperimentatore: la prima pensa “L’ho addestrato davvero bene: ogni volta che premo la leva lui mi dà da mangiare”; il secondo è convinto, al contrario, di aver insegnato alla cavia a premere la leva per avere il premio. In effetti, ognuno ha ragione dal suo punto di vista.

A seconda della “punteggiatura” usata cambia il significato dato alle comunicazioni e alla relazione. Il flusso comunicativo è espresso secondo la punteggiatura degli eventi. Nella vita di coppia, per esempio, il rischio è quello di osservare la situazione esclusivamente dal proprio punto di vista, usando cioè la propria punteggiatura e non riuscendo a cogliere quella dell’altro. In particolare, nelle relazioni conflittuali può accadere che si ritenga in torto sempre e solo l’altra parte, come conseguenza di una distorta visione della punteggiatura nella relazione.

assioma: comunicazione numerica e analogica

La comunicazione numerica o digitale riguarda l’uso del lessico, quindi delle parole come segni arbitrari organizzati da una sintassi logica, usati convenzionalmente per definire qualcosa, senza che ci sia una correlazione diretta tra la parola e la cosa che quella stessa parola rappresenta. Ciò che caratterizza questa modalità comunicativa è, appunto, l’arbitrarietà tra le parole e ciò che rappresentano. Il fatto che la parola “sedia” rappresenti un oggetto con un piano orizzontale sorretto da delle gambe, su cui solitamente ci si siede, non ha nulla a che vedere con l’oggetto in sé, è, appunto, una parola scelta convenzionalmente (e divenuta parte di una lingua). Per fare un altro esempio l’unione delle lettere f-i-o-r-e, per esempio, riproducono nella nostra mente ciò che tutti sappiamo, ovvero un fiore, ma avrebbero potuto rappresentare anche un albero. Non esiste un’analogia strutturale tra il fiore reale e la sequenza delle lettere f-i-o-r-e: il fatto che esso ricordi una pianta è il risultato di una convenzione fissata nella nostra lingua.

Nella comunicazione analogica, invece, rientrano tutti gli aspetti non verbali, paraverbali e l’uso di immagini, metafore e narrazioni. La comunicazione analogica si basa sulla somiglianza (analogia) tra la comunicazione e l’oggetto della comunicazione: rientra in essa tutta la comunicazione non verbale e l’utilizzo di immagini (ad esempio, se incrocio le braccia sul petto sto comunicando, per analogia, una chiusura). Il linguaggio analogico veicola per lo più gli aspetti di relazione e prevede una perfetta corrispondenza tra il significato e il significante.

La congruenza tra i due sistemi è un elemento a cui facciamo continuamente riferimento nel corso delle nostre interazioni con gli altri. Se una persona afferma di essere interessata a ciò che stiamo raccontando e poi evita di guardarci negli occhi, si verifica una discrepanza tra il contenuto e la forma che mina l’esito della conversazione stessa.

assioma: interazione complementare e simmetrica

Ogni scambio comunicativo può essere di due tipi: simmetrico o complementare. Si ha un’interazione simmetrica quando gli interlocutori, tramite le loro comunicazioni, si considerano allo stesso piano, di pari livello. Nessuno dei due sembra voler prevalere o essere subordinato all’altro, come nel caso di amici e colleghi. L’interazione complentare invece avviene quando un comunicante si pone in posizione superiore (one-up) e l’altro inferiore (one-down), ovvero si non si considerano sullo stesso piano, e ciò risulta dalle loro comunicazioni, come per esempio gli scambi comunicativi tra madre e figlio o tra capo e dipendente. Le relazioni simmetriche e complementari non sono “buone” o “cattive”: si tratta solo di una suddivisione che ci permette di classificare l’interazione comunicativa in uno dei gruppi identificati.

La comunicazione problematica

Gli assiomi enunciati implicano delle problematiche se, dati i principi della comunicazione, questi si distorcono. Se gli assiomi vengono violati si hanno delle conseguenze, che possono portare anche alla psicopatologia.

Da questi assiomi, volutamente semplificati e sintetizzati per questo articolo, parte uno studio complesso e approfondito dei processi comunicativi, delle loro sfaccettature, degli errori tipici e di conflitti, disturbi e psicopatologie create a partire da rigide ridondanze degli errori stessi.

L’impossibilità di non comunicare: “e se io volessi negare di stare comunicando, trovandomi a negare che anche il diniego è comunicazione”.

Fanno parte di questo assioma quelle situazioni in cui la persona pare che voglia comunicare senza accettare l’impegno legato alla comunicazione “non volevo dire questo” e i tentativi di non comunicare. I tentativi di non comunicare si hanno in tutti quei contesti in cui si cerca di evitare l’impegno ad ogni comunicazione. L’esempio tipico è l’incontro tra due estranei in aereo seduti l’uno accanto all’altro, dove A vuole parlare mentre B no. B non può andarsene e non può non comunicare. Le reazioni possibili sono poche:

1 – Rifiuto della comunicazione: in modi diversi più o meno bruschi B può far capire ad A che non vuole conversare, ma viste le regole sociali questo provocherà una situazione imbarazzante. Non solo B non sarà riuscito ad evitare una relazione con A.

2 – Accettazione della comunicazione: B decide di chiacchierare, questa rinuncia al suo desiderio di quiete lo porterà ad arrabbiarsi con se stesso e l’altro non solo a questo punto si troverà incastrato in una conversazione con B che lo porterà a sostenere la curiosità di A.

3 – Squalificazione della comunicazione: con questa tecnica B può comunicare in modo da invalidare le proprie comunicazioni o quelle dell’altro, si può: contraddire, cambiare argomento o sfiorarlo, dire frasi incomplete, ricorrere a uno stile oscuro, fraintendere, dare un’interpretazione letterale delle metafore, ecc.. Questo tipo di comunicazione avviene di solito quando una persona si trova alle strette in una situazione in cui si sente obbligato a comunicare ma nello stesso tempo vuole evitare l’impegno legato alla comunicazione, dove nessuno dei comunicanti può andarsene, nessuno può non comunicare ma siano riluttanti a farlo.

4 – Il sintomo come comunicazione: B però può far finta di avere sonno, di essere sordo, avere mal di gola o qualunque cosa, incapacità o difetto, che giustificano l’impossibilità di comunicare. Il messaggio che viene trasmesso è: mi piacerebbe parlare con lei ma c’è qualcosa di più forte di me che me lo impedisce. C’è sono però un inconveniente: B sa che sta barando, la strategia diviene perfetta se riesce a convincersi che si trova in una situazione senza altra via d’uscita, mettendo a tacere la sua coscienza e il biasimo di altre persone che contano in quella situazione. Quindi il sintomo diviene: non sono io che non voglio è qualcosa che non posso controllare.

La struttura di livello della comunicazione.

Di frequente capita che in una discussione, ad esempio tra due coniugi, ci sia confusione tra gli aspetti di relazione e di contenuto, ad esempio la coppia litiga perché la mamma ha dato il permesso al figlio di uscire senza dirlo prima al papà. Entrambi possono essere d’accordo che il permesso andava dato, il problema è che la decisione è stata presa senza consultare l’altro. Per risolvere questo confitto i due coniugi devono essere in grado di parlare sulla loro relazione.

Nel conflitto si può risolvere il problema di contenuto come l’orario di rientro del figlio, per il problema di relazione le cose sono meno semplici, perché non si parla più del figlio ma di se stessi e della loro relazione.

Definizione di sé

Se ipotizziamo che marito e moglie sono d’accordo sull’orario di rientro del figlio ma litigano ugualmente il problema è a livello di relazione. Questo significa che quando definiscono la relazione e implicitamente se stessi non sono d’accordo. Per semplificare quando il marito comunica qualcosa a livello di contenuto nello stesso momento dice “ecco come mi vedo”, la moglie può rispondere in tre modi:

1. Conferma: la moglie può accettare la definizione, con questo aumenta la consapevolezza di sé che ha il marito, le sue qualità e capacità personali. Questo soddisfa il bisogno dell’uomo di essere confermato per ciò che è e per ciò che può diventare e la capacità di confermare gli altri come loro desiderano.

2. Rifiuto: “hai torto” la moglie rifiuta la definizione che il marito da di sé stesso. Il rifiuto presuppone il riconoscimento, anche se può essere molto doloroso, di quello che si respinge, per cui non nega la realtà del giudizio che il marito da su di sé. Alcune forme di rifiuto possono essere costruttive come il rifiuto di una definizione di sconfitta che il marito può dare di sé.

3. Disconferma: in questo caso non importa la verità o la falsità della definizione che il marito da di sé, ma nega la realtà del marito come persona, equivale al messaggio: “tu non esisti”.

In questa classificazione abbiamo la reazione della moglie che comunica ecco come ti vedo, Abbiamo una metacomunicazione in cui il marito dice alla moglie ”ecco come mi vedo”, a cui segue il messaggio della moglie “ecco come ti vedo”, a cui c’è la possibile reazione del marito che dice: “ecco come vedo che mi vedi”, a cui segue la risposta della moglie: “ecco come vedo che mi vedi che ti vedo”, e così via.

La disconferma deriva dalla mancanza di consapevolezza delle percezioni interpersonali: normalmente ognuno si accorge del punto di vista dell’altro, ma ci possono essere momenti in cui questo non succede, si ha una mancanza di consapevolezza, si realizza così una armonia presunta in cui sono presenti disaccordi su cui si accendono i conflitti. Se vi è una disconferma il marito può pensare che la moglie non lo capisca, o non lo apprezza o non lo ama mentre la moglie può presumere che il marito si senta capito, o amato o apprezzato sa lei. La moglie non è in disaccordo col marito ma ignora o fraintende il messaggio . Oppure può succedere che il marito non si accorge che il suo messaggio non è arrivato alla moglie, il marito non trasmette con precisione.

3° La punteggiatura della sequenza di eventi

Se non si risolvono le discrepanze relative alla punteggiatura delle sequenze della comunicazione l’interazione arriva ad un vicolo cieco dove vengono espresse solo reciproche cattiverie.

Le discrepanze si presentano quando uno dei comunicanti non ha lo stesso grado di informazione senza saperlo. Oppure quando l’altro non trae le stesse conclusioni dalle informazioni in proprio possesso, nei conflitti di punteggiatura c’è la convinzione che esiste solo una realtà: il mondo come lo vedo io, e che ogni diversa opinione dipende dall’irrazionalità dell’altro o dalla sua mancanza di buona volontà. Ma sono circoli viziosi che non si possono infrangere a meno che la comunicazione stessa non diventa oggetto della comunicazione, cioè finché non si metacomunica. Ma per esserne capaci devono uscire fuori dal circolo, di uscire fuori dalla situazione per risolverla.

Causa-effetto: nei casi che presentano un problema sulla punteggiatura hanno un conflitto su ciò che è causa e ciò che è effetto quando nessuno di questi concetti è utilizzabile a causa dell’interazione in corso. Le discrepanze della punteggiatura portano visioni diverse della realtà e quindi al conflitto.

4° Errori nella traduzione del materiale analogico e numerico

Il materiale analogico manca di molti elementi che invece ha il linguaggio numerico tra cui la morfologia e la sintassi. Il materiale analogico ha molti aspetti contradditori, si presta ad interpretazioni numeriche diverso e spesso incompatibili, se sorge una controversia interpersonale sul significato di un dettaglio della comunicazione analogica, è probabile che uno dei comunicanti introduca il tipo di traduzione che gli consente di mantenere l’opinione che ha della relazione. Anche quando la traduzione sembra adeguata, la comunicazione numerica a livello di relazione può restare poco persuasiva. Tutti i messaggi analogici sono proposte che riguardano le regole future della relazione: con il mio comportamento posso accennare o proporre che voglio amare, odiare, combattere, ecc. ma tocca all’altro attribuire alle mie proposte il valore vero o falso.

Una particolarità: trasmettere un messaggio analogico positivo è facile ad esempio “ti aggredirò”, con un atteggiamento aggressivo, ma è molto difficile trasmettere il messaggio negativo “non ti aggredirò”. L’unico modo per risolvere il problema e segnalare la negazione, è quello di mostrare e proporre l’azione che si vuole negare e poi non portarla a termine. Nella comunicazione analogica non esiste nemmeno il “o” la disgiunzione.

Il rituale può essere un buon intermediario tra linguaggio analogica e numerico in quanto simula il materiale del messaggio ma in modo stilizzato e ripetitivo sospeso tra analogia e simbolo. I materiali analogici sono spesso formalizzati nei rituali delle società umane, quando questo materiale viene canonizzato si avvicina molto alla comunicazione simbolica o numerica e mostra quasi di coincidere con essa.

5° Le patologie potenziali dell’interazione simmetrica e complementare

I concetti si simmetria e complementarietà si riferiscono a due categorie in cui si possono dividere tutti gli scambi di comunicazione, i due comunicatori alternano queste due modalità di scambi. È il rendere questi modelli rigidi che crea problemi.

In una relazione simmetrica il rischio maggiore è quello della competitività, l’uguaglianza sembra più rassicurante se si riesce ad essere “un po’ più uguali degli altri”. In una relazione simmetrica sana i partner sono in grado di accettarsi a vicenda così come sono, si sviluppa la fiducia e il rispetto reciproco ed equivale ad una conferma dei rispettivi sé realistica. Quando si creano problemi nella relazione si rischia l’escaletion, in cui i partner confliggono a toni sempre più accesi da cui si riposano spossati per poi riprendere il conflitto, un famoso esempio è illustrato nel film “La guerra dei Roses”.

Nelle relazioni complementari ci può essere le stessa conferma reciproca sana e positiva. Il problema tipico è quello che uno dei partner chiede conferma all’altro della definizione che da di sé e che è in contrasto con quella dell’altro. Questo pone nel primo un dilemma: deve cambiare la propria definizione in una che faccia da complemento e sostenga quella dell’altro. Perché è nella natura delle relazioni complementari che una definizione de sé si possa mantenere solo se il partner assume uno specifico ruolo complementare. Ad esempio nella relazione madre bambini il modello di relazione cambia col tempo, il modello madre neonato si sviluppa in madre bambini e poi adolescente. A seconda del contesto quindi lo stesso modello può costituire in un certo periodo una conferma del sé e una disconferma in un periodo successivo della storia della relazione.

Conclusioni

Ogni comportamento è comunicazione e, allo stesso modo, ogni comunicazione è un comportamento. In altre parole, tutte le azioni, volontarie o meno, esprimono un messaggio e questo influenza la relazione, in cui l’atto comunicativo si sta svolgendo, con effetti sulle reazioni comportamentali. Per parlare di comunicazione è necessario osservare i pattern comunicativi, individuando delle ridondanze pragmatiche, quei comportamenti comunicativi che possono essere descritti, Per comunicare in modo efficace occorre innanzitutto ricordare che esistono regole comunicative universalmente prefissate. È inoltre importante saper ascoltare in modo attivo i propri interlocutori, prestando attenzione alle loro modalità espressive verbo-gestuali.

La comunicazione interpersonale vede come protagonisti due o più individui e si basa su una relazione in cui gli interlocutori si influenzano reciprocamente, pur non rendendosene conto nella maggior parte dei casi. L’atto pratico del comunicare, dunque, si basa sulla certezza che ognuno di noi interagisce all’interno di un sistema di tipo circolare, dove il comportamento di ogni membro influenza l’altro

Per approfondimenti:

Watzlawick P., Beavin J.H., Jackson D.D., (1967). Pragmatica della comunicazione umana. Astrolabio, Roma, 1971.