Catastrofe e cambiamento: reagire al trauma

Ti dirò un grande segreto, amico mio.  Non aspettare il Giudizio Universale, esso ha luogo ogni giorno.  (Albert Camus)

La saggezza popolare dava per scontato che eventi sconvolgenti della vita avessero una manifestazione a livello sia psichico che fisico. Espressioni come “ha preso un colpo al cuore” o “…gli ha tolto il fiato” ecc.. sono un modo di spiegare come eventi o situazioni traumatiche possono lasciare dei segni. Solo in tempi relativamente recenti però è stato riconosciuto il ruolo determinante nello sviluppo di sintomi e disturbi l’aver subito eventi traumatizzanti in maniera episodica o continuata nell’arco dell’esistenza. Nel corso del tempo infatti gli psicologi, attraverso l’accumularsi di osservazioni cliniche, ricerche epidemiologiche e sperimentali, hanno consolidato l’opinione dell’esistenza di una  relazione tra i costrutti di trauma psichico di origine ambientale, la dissociazione e l’area del disagio psichico a spettro traumatico

Sono i grandi studi con i reduci della guerra del Vietnam che hanno permesso di identificare reazioni specifiche a traumi indipendentemente da cultura e provenienza. L’esperienza della prima e della seconda guerra mondiale, nonché dell’olocausto, ha gettato le basi per questa comprensione, che però ha potuto essere studiata con maggiore scientificità dopo la guerra del Vietnam.

Di fronte ad eventi traumatici gravi (ad esempio il terremoto, una condizione fisica invalidante, un incidente stradale, ecc..) le persone si trovano nella difficile posizione di reagire nel modo migliore possibile. In queste condizioni con degli stressors1 estremi che si manifestano durante quelli che vengono comunemente definiti “incidenti critici”, si genera un trauma psicologico.

Il trauma è definito come un evento vissuto al di fuori della norma (estremo, violento, lesivo) che minaccia o ferisce l’integrità fisica e/o psichica di un singolo2 o di un gruppo di persone; in genere richiede uno sforzo non abituale per essere superato.

Si distinguono due tipi di trauma: trauma tipo I: è un evento unico, imprevisto, con un chiaro inizio ed una fine. Il trauma tipo II: è un evento violento a cui una persona viene ripetutamente esposta; è presente come minaccia, prevedibile, cronico e sequenziale, ma inevitabile (come ad esempio una donna maltrattata dal marito) e questo crea quel senso di impotenza che diventa un elemento centrale di questo vissuto.

In quest’ultima forma di trauma i meccanismi di adattamento psicofisici sono più complessi; spesso viene a mancare un sostegno della comunità ben funzionante e che manifesta quella solidarietà che diventa un elemento centrale di guarigione. Per un trauma tipo II ci vuole dunque qualcosa come una “bugia” istituzionalizzata che non vuol riconoscere il pericolo ed il bisogno di soccorso, preludendo così a traumatizzazioni croniche. Questo è il caso nelle violenze famigliari o nelle traumatizzazioni cosiddette vicarianti dei soccorritori3, in cui all’evento non viene dato il dovuto peso visto che viene ritenuto “normale”. Persone esposte ripetutamente a violenze sono spesso escluse dall’aiuto. Vissuti di violenza collegati con una mancata protezione o sostegno a livello sociale conduce ad un senso di impotenza, una delle sensazioni più insopportabili e minacciose. Da qui si sviluppano sensazioni di rabbia, paura esistenziale, senso di inutilità, orrore, vergogna, colpa ecc. che spingono la persona nell’isolamento e nell’abbandono. Senza l’aiuto e la solidarietà del gruppo un evento violento di questo genere non può essere integrato.

Gli eventi che vengono solitamente associati alle risposte traumatiche comprendono disastri di origine naturale, combattimenti, aggressioni fisiche e sessuali, e tutte le possibili forme di incidenti, aerei, stradali, ferroviari ecc. I disturbi sarebbero la diretta conseguenza dello stress subito, e si evidenziano in una marcata alterazione della consapevolezza dell’individuo, che si esprime attraverso manifestazioni dissociative più o meno intense: stupore dearealizzazione-depersonalizzazione, intorpidimento emotivo e cognitivo, vari gradi di amnesia rispetto gli avvenimenti occorsi, ed un massiccio incremento dello stato d’ansia dell’individuo e delle risposte fisiologiche e comportamentali ad esso correlato. Vi sono anche fenomeni di hyperarousal ed evitamento, nonché una caratteristica intrusività dei ricordi e delle sensazioni sperimentate durante l’evento traumatico, che si ripropongono in incubi o flashback non controllabili da parte dell’individuo. Essi rappresentano i sintomi più dolorosi per le vittime e difficili da trattare, rendendo questa sindrome particolarmente invalidante. Ci sono poi, alti livelli di comorbidità che questi disturbi intrattengono con altre categorie nosografiche, in modo particolare: depressione maggiore, disturbi dell’umore, abuso di alcool e altre sostanze, alterazioni alimentari e della condotta sessuale, altri tipi di disturbi d’ansia, disturbi somatoformi, fobici ed ossessivi, ed anche talvolta episodi deliranti acuti.

Reazione traumatica acuta (acute stress disorder): come reazione immediata all’evento traumatico il nostro corpo e la nostra psiche reagiscono nell’intento della sopravvivenza. Una volta lo si chiamava l’istinto di sopravvivenza, oggi piuttosto la reazione di fuga e di lotta. La percezione del pericolo scatena come di riflesso la secrezione di ormoni stressori dalla corteccia cerebrale alle strutture ipotalamo-ipofisarie; la muscolatura viene portata ad uno stato di funzione massimale, la circolazione e l’attività cardiaca vengono attivate come pure la respirazione. La percezione del dolore diminuisce, l’uomo è fisicamente pronto alla fuga o alla lotta, cioè in massima allerta. Queste situazioni corporee di stress provocano facilmente un senso di paura e lo rendono cosciente del pericolo. A livello psicologico, contemporaneamente, la concentrazione si focalizza e le emozioni vengono alterate: nel “monitoring”, in cui la nostra concentrazione ed attenzione sono precise e portano ad azioni concrete (reazione necessaria ai soccorritori per funzionare in modo corretto); l’attenzione è focalizzata verso l’esterno, le emozioni vengono staccate (dissociate).

Un’altra reazione psicologica ad un trauma può essere il “blunting” (insensibilità) in cui l’attenzione viene volta verso l’interno producendo o sviluppando un certo senso di sicurezza. Questa è la reazione che si può manifestare, ed è utile alla sopravvivenza, in situazioni di violenza famigliare specialmente su bambini o in torture. Le reazioni acute da stress traumatico sono assolutamente normali.

Reazione postraumatica: terminato l’evento traumatico questo tipo di reazioni non cessano, l’agitazione somatica, la dissociazione e i ricordi ricorrenti ed intrusivi (flash-back o incubi) hanno la tendenza a diminuire di frequenza e d’intensità nei giorni seguenti. Secondo il DSM IV questi disturbi sono accettabili per una durata di circa quattro settimane.

Disturbo dell’adattamento (DA)

Disturbo di lieve o moderata gravità con sintomi per lo più ansiosi o depressivi reattivi ad eventi comuni emozionalmente significativi con cui sono in chiaro rapporto causale (compaiono entro tre mesi mesi e non superano i sei). La persona che è stata esposta a una o più fonti di stress non riesce ad “adattarsi” all’esperienza, ma sviluppa una risposta emotiva e comportamentale anomala.

Disturbo acuto da stress (DAS)

Caratterizzato come manifestazione psicopatologica acuta conseguente, entro poco tempo, all’esposizione ad un avvenimento molto grave (compare entro quattro settimane e non dura più di un mese)

Disturbo postraumatico da Stress

Se i sintomi perdurano più a lungo si attribuiscono ad una sindrome post-traumatica (Post Traumatic Stress Disorder, PTSD). Spesso vi si associano strategie e comportamenti di evitamento per poter ridurre l’apparizione di ricordi intrusivi ricorrenti detti anche flashback che riportano in tutta attualità la sintomatologia di una reazione acuta. Subentrano poi facilmente disturbi psicosomatici o somatoformi negli organi più svariati, molto spesso legati pure a disturbi del sonno e ad irritabilità.

Ansietà, nervosismo, attacchi di panico e vere e proprie sindromi depressive possono esserne la conseguenza. Con la persistenza di questa sintomatologia è più facile che si instauri un abuso di tranquillanti o di alcool; a livello emotivo la persona cambia e diventa impassibile. Con il tempo si può notare classicamente un deterioramento dell’ambito lavorativo e sociale.

La sindrome post-traumatica cronica presenta dunque ricordi intrusivi ricorrenti (flashback), di tipo visivo, uditivo, di percezione o di pensiero, eventualmente sotto forma di incubi notturni collegati ad espressioni di stress e scatenate in situazioni evocanti il trauma; sono accompagnati da strategie per evitare l’insorgenza di questi ricordi intrusivi, turbe a livello emotivo con sensazione di distacco o estraniazioni o impassibilità o diminuzione degli interessi; turbe del sonno, irritabilità, difficoltà di concentrazione, ipervigilanza come pure disturbi somatoformi ed alterazioni nel comportamento sociale e lavorativo vi sono pure associate.

Il Ptsd abbraccia uno spetto vasto, ed apparentemente eterogeneo di fenomeni: dagli eventi naturali catastrofici agli incidenti tecnologici e con i mezzi di trasporto, dalle violenze, maltrattamenti ed abusi su bambini ed adulti ad altre forme di aggressioni fisiche, gravi malattie ed interventi chirurgici, gravi problemi al lavoro, come il mobbing, ecc.  Ci sono tra questi eventi traumatici simili caratteristiche di fondo, in particolare il carattere di immediatezza ed imprevedibilità,  i forti vissuti emotivi di angoscia e paura “senza freni”. L’esistenza di processi psicobiologici simili nei vari tipi di gravi stress sia nella fase acuta che nell’eventuale cronicizzazione, poi, le tipologie di “coping”, l’esistenza di una gamma di eventuali disturbi, psicopatologici e non tra le varie persone come ad esempio, agli incubi, le reazioni dissociative, i flashback, ecc., ma anche l’attualizzazione di comportamenti maladattativi per esempio la persona che ha subito una violenza che comincia a bere, in modo drammaticamente simile ad un soggetto che ha subito un altro grave stress. Infine l’esistenza di alcuni “fattori protettivi” e talvolta “curativi” (fattori di personalità, situazionali, psicosociali, relativi al sostegno sociale), che appaiono attivi in queste circostanze.

È facilissimo reagire con freddezza alle cose durante il giorno, ma di notte è tutto un altro discorso.
(Ernst Hemingway)

Un qualsiasi evento gravemente stressante, può non essere seguito dal manifestarsi della sindrome di PTSD in almeno il 50% dei soggetti. D’altro canto, come suggeriscono gli studi condotti da Horowitz4, esiste la possibilità di collocare lungo un discorso di continuità dello sviluppo psicologico la personalità pre-trauma con lo stile di risposta, patologica o no, all’evento traumatico. Può pertanto essere interessante analizzare le caratteristiche di personalità e i relativi processi di coping dei soggetti resistenti, stimolare, nei soggetti con caratteristiche personologiche predittive favorevoli allo sviluppo di un Ptsd, il potenziamento di quei tratti di personalità utili come funzione protettiva.

Occorre quindi focalizzare l’attenzione sui fattori psicologici che favoriscono una tipologia di personalità resistente allo stress acuto e cronico Ne sono stati individuati quattro:
1) Forza dell’Io

2) Hardiness

3) Humour

4) Ottimismo

Forza dell’Io: è questo un concetto che si può far risalire al lavoro di Balint (1973)5 il quale riteneva che questa peculiarità potesse essere espressione della validità di quell’ “amore primario” che già nel neonato costituisce la base fondamentale su cui costruire il senso di sicurezza, di identità e di autostima . In base a tale fattore Balint poneva gli individui lungo un continuum che vedeva ad un estremo i cosiddetti soggetti ‘ocnofili’ (da okneo =mi appoggio) vulnerabili, dipendenti, i meno attrezzati psicologicamente ad affrontare la realtà, opposti ai soggetti ‘filobati’ (gli equilibristi, capaci di camminare su di una corda tesa) i quali, forti della fiducia in sé stessi, si avvalgono della loro sicurezza per affrontare i rischi e i disagi dell’esistenza.
Hardiness: con questo termine viene designata una variabile caratteriale denotativa il concetto di ‘robustezza psicologica’ anche se questa traduzione in lingua italiana non esaurisce l’ampia gamma di sfumature incluse nel concetto, fra le quali si possono elencare: la resistenza, la dedizione al compito, il controllo, la disponibilità di fronte alla sfida. Inoltre il controllo (monitoring) è indice di una strategia di coping centrata sul problema, in contrapposizione alle strategie di coping centrate sulle emozioni che si esprimono nel cosiddetto ‘blunting’ letteralmente ‘smussamento’, ovvero depotenziamento delle componenti emotive. soggetti con alto monitoring e basso tasso di blunting sono caratterizzati da un decorso della sindrome di PTSD clinicamente meno grave.

Inoltre la hardiness è il presupposto di un’altra caratteristica personologica la ‘Reselience‘ ovvero la capacità di recupero psicobiologico ed ambientale dopo un grave trauma che fa sì che alcuni soggetti escano da un’esperienza traumatica psicologicamente rafforzati.

Una personalità di tipo costruttivo, propositivo e, soprattutto, creativo, è sicuramente quella che si rivela più in grado di mettere in atto le strategie psicologiche che aiutano a fronteggiare l’evenienza di un trauma di qualsiasi natura.
La creatività si rivela l’arma vincente, la caratteristica psicologica indispensabile per affrontare l’esistenza e i suoi imprevisti, anche i più tragici. Ma, per fortuna, la creatività non è solo una dote innata: essa può anche essere sviluppata in ogni individuo sia mediante programmi specifici che prevedono l’insegnamento di tecniche quali quella del “giudizio differito” o quella della “check-list”, sia appresa lasciandosi “contagiare” dal coraggioso e fantasioso stile di vita delle persone che ne sono naturalmente dotate.

Interventi

Ti dicono che devi reagire. Tutti chimici sono.

E’ oggi accettato e comprensibile che la vittima primaria necessita di un aiuto di tipo psicologico; in genere si mobilitano famigliari ed amici per offrire questo sostegno che si manifesta soprattutto in un’espressione di solidarietà e di compassione nel vero senso della parola.

Un aiuto più professionale, ad elaborare il vissuto è dato dal debriefing psicologico, una tecnica di colloquio in cui, in modo strutturato, si fa ordine nella memoria sia dei fatti che delle emozioni e si porta a concludere il vissuto dandogli un valore. Anche le vittime secondarie possono avere problemi nell’elaborazione del vissuto ed è per questo che a livello di soccorritori viene raccomandato un debriefing di gruppo dopo eventi maggiori.

Tra le vittime si sono potute distinguere delle categorie particolarmente a rischio per lo sviluppo di una sindrome post-traumatica cronica. Come fattori di rischio giocano un ruolo importante

– l’età: adolescenti, giovani adulti ed anziani sono a particolare rischio;

– lo stato fisico generale: stato di salute, di alimentazione, carenza di sonno, gravidanza;

– lo stato generale psichico: situazione di stress sul lavoro (disoccupazione) o in famiglia

(separazione), struttura della personalità preesistente con patologie di tipo psichiatrico o vissuti traumatici preesistenti.

Nessuno di noi può dunque essere certo di non divenire mai una vittima vulnerabile in una situazione traumatica specifica.

Interventi psicoterapici

Questi trattamenti,al di là della tecnica impiegata, hanno due fattori in comune fondamentali nella terapia del DPTS: espressione di emozioni e risposte affettive collegate al trauma, ripristino della capacità di contatto e fiducia

Interventi preventivi e di comunità

Non esistono dati sistematici riguardo questi interventi ma solo osservazioni. Nel caso di disastri naturali che colpiscono comunità l’azione molto precoce di squadre opportunamente e specificamente addestrate in psicologia dei disastri (instaurare subito punti certi di riferimento a cui rivolgersi, favorire il ripristino di ritmi e abitudini, ripristino dei contatti e dei gruppi all’interno della comunità) è fondamentale. E’ ovvio l’effetto positivo che hanno nell’immediato. Meno ovvio è il come possono ridurre la morbilità per il DPTS. E’ probabile che sostenere i meccanismi di attaccamento, potenziare la percezione di sicurezza, mantenere quella solidità minima della struttura interpersonale e psicosociale della comunità può avere azione decisiva. Vengono infatti ridotte le reazioni immediate di paura, di inaiutabilità e di mancanza di controllo che sono il nucleo motore del DPTS

1Eventi stressanti: Avvenimenti della vita identificabili delimitabili e circoscritti nel tempo che modificano in modo variabile ma sostanziale l’assetto di vita di una persona, richiedendole uno sforzo per riadattarsi alla nuova situazione. Possono essere positivi o negativi e avere un impatto di entità variabile.

2Vittima primaria di un trauma è la persona che l’ha vissuto direttamente, spesso guardando in faccia la morte.

3Vittime secondarie sono persone che hanno assistito all’evento senza essere personalmente minacciate direttamente; lo sono però indirettamente come per esempio i famigliari, gli spettatori ma anche il personale sanitario ed i soccorritori di ogni genere.

4Horowitz M.J. Sindromi di risposta allo stress Raffaello Cortina Editore, 2004

5Balint M. (1973). L’amore primario, gli inesplorati confini tra biologia e psicoanalisi. Trad. it. Guaraldi, Rimini