Ansia: amica o nemica?
L’ansia di per sé, non è un fenomeno anormale, bensì parte da un’emozione di base, la paura, che comporta uno stato di attivazione dell’organismo quando una situazione viene percepita soggettivamente come pericolosa. Nella specie umana la paura si traduce in una tendenza immediata all’esplorazione dell’ambiente, nella ricerca di spiegazioni, rassicurazioni e vie di fuga, nonché in una serie di fenomeni neurovegetativi come l’aumento della frequenza del respiro, del battito cardiaco (tachicardia), della sudorazione, vertigini, ecc.. Tali fenomeni dipendono dal fatto che, ipotizzando di trovarsi in una situazione di reale pericolo, l’organismo spaventato ha bisogno della massima energia muscolare a disposizione, per poter scappare o attaccare in modo più efficace possibile, scongiurando il pericolo e garantendosi la sopravvivenza.
La paura, quindi, costituisce una importante risorsa, perché è una condizione fisiologica, efficace in diversi momenti della vita per proteggerci dai rischi, mantenere lo stato di allerta e migliorare le prestazioni (ad es., sotto esame).
Quando, però, l’attivazione del sistema di paura è eccessiva, ingiustificata o sproporzionata rispetto alle situazioni, e sopratturro preventiva, siamo di fronte ad un disturbo d’ansia. Si parla allora di ansia patologica, caratterizzata da uno stato permanente di tensione che compromette le capacità operative e di giudizio e può rendere la persona che ne soffre incapace di affrontare anche le più comuni situazioni.
Quando dunque l’ “ansia normale” diventa “ansia patologica“? In linea generale potremmo definire l’ansia patologica come una risposta ansiosa “esagerata” rispetto all’oggetto (situazioni, persone, oggetti, ecc.) che la scatena: sintomi d’ansia troppo intensi rispetto alla reale pericolosità di una situazione. ad esempio prima di un esame è normale provare dell’ansia, ci consente di attivarci per rendere il risultato migliore. La funzione adattiva-difensiva dell’ansia, quindi. si esplica solo entro livelli di attivazione emozionale ottimali, e cioè non troppo alti ne troppo bassi. Una risposta emotiva d’ansia troppo bassa ad esempio può sfociare in comportamenti pericolosi per sé e per gli altri, mentre livelli troppo alti di ansia possono determinare reazioni eccessive altrettanto dannose, ivi compresa l’immobilizzazione.
Tuttavia spesso in ambito clinico si ha a che fare con forme d’ansia, anche molto intense, nelle quali, almeno apparentemente, non è individuabile un vero e proprio oggetto (persone, cose, situazioni) che inneschi nel paziente la risposta ansiosa.
I principali disturbi d’ansia
Fobia specifica (aereo, spazi chiusi, ragni, cani, gatti, insetti, ecc.) ovvero la fuga ansiosa da situazioni o oggetti che generano paura
La fobia è una paura marcata e persistente con caratteristiche peculiari: è sproporzionata rispetto al reale pericolo dell’oggetto o della situazione, non può essere controllata con spiegazioni razionali, dimostrazioni e ragionamenti. Supera la capacità di controllo volontario che il soggetto è in grado di mettere in atto, produce risposte di evitamento sistematico della situazione-stimolo temuta. Permane per un periodo prolungato di tempo senza risolversi o attenuarsi. Comporta un certo grado di disadattamento per l’interessato e l’individuo riconosce che la paura è irragionevole e che non è dovuta ad effettiva pericolosità dell’oggetto, attività o situazione temuta.
La fobia è dunque una paura estrema, irrazionale e sproporzionata per qualcosa che non rappresenta una reale minaccia e con cui gli altri si confrontano senza particolari tormenti psicologici. Chi ne soffre, infatti, è sopraffatto dal terrore all’idea di venire a contatto magari con un animale innocuo come un ragno o una lucertola, o di fronte alla prospettiva di compiere un’azione che lascia indifferenti la maggior parte delle persone (ad esempio, il claustrofobico non riesce a prendere l’ascensore o la metropolitana). Le persone che soffrono di fobie si rendono perfettamente conto dell’irrazionalità di certe reazioni emotive, ma non possono controllarle. L’ansia “fobica”, si esprime con sintomi fisiologici come tachicardia, disturbi gastrici e urinari, nausea, diarrea, senso di soffocamento, rossore, sudorazione eccessiva, tremito e spossatezza. Si sta male e si desidera solo allontanarsi dallo stimolo fobico. Scappare è una strategia di emergenza. La tendenza ad evitare tutte le situazioni o condizioni che possono essere associate alla paura, sebbene riduca sul momento gli effetti della paura, in realtà costituisce una trappola: ogni evitamento, infatti, conferma la pericolosità della situazione evitata e prepara quello successivo (in termini tecnici si dice che ogni evitamento rinforza negativamente la paura). Tale spirale progressivia produce l’incremento, non solo della sfiducia nelle proprie risorse, ma anche della reazione fobica della persona, al punto da interferire significativamente con la normale routine dell’individuo, con il funzionamento lavorativo o scolastico oppure con le attività o le relazioni sociali. Il disagio diviene così sempre più limitante. Chi ha la fobia dell’aereo può trovarsi, ad esempio, a rinunciare a molte trasferte, e la cosa diventa imbarazzante se è necessario spostarsi per lavoro. Chi è terrorizzato dagli aghi e dalle siringhe può rinunciare a controlli medici necessari. Chi ha paura dei piccioni non attraversa le piazze e non può godersi un caffè seduto ai tavolini di un bar all’aperto e così via.
Disturbo di panico e agorafobia (paura di stare in situazioni da cui non vi sia una rapida via di fuga).
Gli attacchi di panico sono episodi di improvvisa ed intensa paura o di una rapida escalation dell’ansia normalmente presente. Sono accompagnati da sintomi somatici e cognitivi, quali palpitazioni, sudorazione improvvisa, tremore, sensazione di soffocamento, dolore al petto, nausea, paura di morire o di impazzire, brividi o vampate di calore.
Chi ha provato gli attacchi di panico li descrive come un’esperienza terribile, spesso improvvisa ed inaspettata, almeno la prima volta. E’ ovvio che la paura di un nuovo attacco diventa immediatamente forte e dominante. Il singolo episodio, quindi, sfocia facilmente in un vero e proprio disturbo di panico, più per “paura della paura” che altro. La persona si trova rapidamente invischiata in un tremendo circolo vizioso che spesso si porta dietro la cosiddetta “agorafobia“, è uno stadio avanzato del sintomo ansia; la persona a seguito di ripetute crisi di sintomo ansia o attacchi di panico comincia a temere che si presentino anche quando non ci sono i presupposti, pertanto evita i posti che potrebbero generarli e soprattutto da cui sarebbe difficile fuggire o ricevere aiuto (aereo, ascensore, una fila al supermercato etc).
Questo stato porta il soggetto a chiudersi nella propria abitazione ed evitare contatti o luoghi esterni, sviluppando un processo di evitamento.
L’evitamento di tutte le situazioni potenzialmente ansiogene diventa la modalità prevalente ed il paziente diviene schiavo del suo disturbo, costringendo spesso tutti i familiari ad adattarsi di conseguenza, a non lasciarlo mai solo e ad accompagnarlo ovunque, con l’inevitabile senso di frustrazione che deriva dal fatto di essere “grande e grosso” ma dipendente dagli altri, che può condurre ad una depressione secondaria.
La caratteristica essenziale del Disturbo di Panico è la presenza di attacchi di panico ricorrenti, inaspettati, seguiti da almeno 1 mese di preoccupazione persistente di averne un altro. La persona si preoccupa delle possibili implicazioni o conseguenze del disturbo e cambia il proprio comportamento di conseguenza, evitando le situazioni in cui teme che essi possano verificarsi. Il primo attacco di panico è generalmente inaspettato, cioè si manifesta “a ciel sereno”, per cui il soggetto si spaventa enormemente e, spesso, ricorre al pronto soccorso supponendo un atttacco di cuore; poi possono diventare più prevedibili.
Gli individui con Disturbo di Panico mostrano caratteristiche preoccupazioni o interpretazioni sulle implicazioni o le conseguenze degli attacchi, che sono spesso associate con lo sviluppo di condotte di evitamento e possono determinare una agorafobia, nel qual caso viene diagnosticato il Disturbo di Panico con Agorafobia.
Di solito gli attacchi di panico sono più frequenti in periodi stressanti. Alcuni eventi di vita possono infatti fungere da fattori precipitanti, anche se non indicono necessariamente un attacco. Tra gli eventi di vita precipitanti riferiti più comunemente troviamo la separazione, la perdita o la malattia di una persona significativa, l’essere vittima di una qualche forma di violenza, problemi finanziari e lavorativi. I primi attacchi si verificano di solito in situazioni agorafobiche (come guidare da soli o viaggiare su un autobus in città) e comunque spesso in qualche contesto stressante. Gli eventi stressanti, le situazioni agorafobiche, il caldo e le condizioni climatiche umide, le droghe psicoattive possono infatti far insorgere sensazioni corporee che possono essere interpretate in maniera catastrofica.
L’attacco di panico ha un inizio improvviso, raggiunge rapidamente l’apice (di solito entro 10 minuti o meno) e dura circa 20 minuti (ma a volte molto meno o di più).
I sintomi che possono caratterizzare l’attacco di panico sono:
Palpitazioni/tachicardia (battiti irregolari, pesanti, agitazione nel petto, sentirsi il battito in gola). Paura di perdere il controllo o di impazzire (ad esempio, la paura di fare qualcosa di imbarazzante in pubblico o la paura di scappare quando colpisce il panico o di perdere la calma). Sensazioni di sbandamento, instabilità (capogiri e vertigini). Tremori fini o a grandi scosse, sudorazione oppure brividi, sensazione di soffocamento. Dolore o fastidio al petto. Sensazioni di derealizzazione (percezione del mondo esterno come strano e irreale, sensazioni di stordimento e distacco) e depersonalizzazione (alterata percezione di sé caratterizzata da sensazione di distacco o estraneità dai propri processi di pensiero o dal corpo). Vampate di calore, Parestesie (sensazioni di intorpidimento o formicolio). Nausea o disturbi addominali, sensazione di asfissia (stretta o nodo alla gola)
La frequenza e la gravità degli attacchi di panico varia ampiamente nel corso del tempo e delle circostanze. Ad esempio, alcuni individui presentano attacchi moderatamente frequenti (per es., una volta a settimana), che si manifestano regolarmente per mesi. Altri riferiscono brevi serie di attacchi più frequenti (per es., quotidianamente per una settimana), intervallate da settimane o mesi senza attacchi o con attacchi meno frequenti (per es., due ogni mese) per molti anni. Vi sono anche i cosiddetti attacchi paucisintomatici, molto comuni negli individui con Disturbo di Panico, che sono degli attacchi in cui si manifestano soltanto una parte dei sintomi del panico, senza esplodere in un vero attacco. La maggior parte degli individui con attacchi paucisintomatici, tuttavia, hanno avuto attacchi di panico completi in qualche momento nel corso del disturbo.
Durante un attacco di panico, pensieri catastrofici automatici e incontrollati riempiono la mente della persona, che ha quindi difficoltà a pensare chiaramente e teme che tali sintomi siano veramente pericolosi. Alcuni temono che gli attacchi indichino la presenza di una malattia non diagnosticata, pericolosa per la vita (per es., cardiopatia, epilessia). Nonostante i ripetuti esami medici e la rassicurazione, possono rimanere impauriti e convinti di essere fisicamente vulnerabili. Altri temono che gli attacchi di panico indichino che stanno “impazzendo” o perdendo il controllo, o che sono emotivamente deboli e instabili.
Caratteristiche essenziali del disturbo ossessivo compulsivo sono pensieri, immagini o impulsi ricorrenti che creano allarme o paura e che costringono la persona a mettere in atto comportamenti ripetitivi (compulsioni) o azioni mentali (ossessioni).
Almeno l’80% dei pazienti con DOC ha sia ossessioni che compulsioni, meno del 20% ha solo ossessioni o solo compulsioni. Le ossessioni sono pensieri, immagini o impulsi che si presentano più e più volte e sono al di fuori del controllo di chi li sperimenta. Tali idee sono sentite come disturbanti e intrusive, e, almeno quando le persone non sono assalite dall’ansia, sono giudicate come infondate ed insensate. Le persone con disturbo ossessivo compulsivo possono preoccuparsi eccessivamente dello sporco e dei germi. Possono essere terrorizzate dalla paura di avere inavvertitamente fatto del male a qualcuno, di poter perdere il controllo di sé e diventare aggressive in certe situazioni, di aver contratto malattie infettive o di essere omosessuali, anche se di solito riconoscono che tutto ciò non è realistico. Le ossessioni sono accompagnate da emozioni sgradevoli, come paura, disgusto, disagio, dubbi, o dalla sensazione di non aver fatto le cose nel “modo giusto”, e gli innumerevoli sforzi per contrastarle non hanno successo, se non momentaneo. Le compulsioni tipiche del disturbo ossessivo compulsivo vengono anche definite rituali o cerimoniali e sono comportamenti ripetitivi (lavarsi le mani, riordinare, controllare) o azioni mentali (contare, pregare, ripetere formule mentalmente) messi in atto per ridurre il senso di disagio e l’ansia provocati dai pensieri e dagli impulsi tipici delle ossessioni. Costituiscono, cioè, un tentativo di elusione del disagio, un mezzo per cercare di conseguire un controllo sulla propria ansia. In generale tutte le compulsioni che includono la pulizia, il lavaggio, il controllo, l’ordine, il conteggio, la ripetizione ed il collezionare si trasformano in rigide regole di comportamento e sono spesso bizzarre e francamente eccessive.
Se il disturbo ossessivo compulsivo non viene curato, generalmente tende a cronicizzare e ad aggravarsi progressivamente. A differenza di altri disturbi psicologici, sostanzialmente omogenei, nella pratica clinica si possono distinguere con relativa chiarezza sette tipologie di disturbo ossessivo-compulsivo, talvolta presenti in concomitanza, ognuno delle quali ha sintomi specifici.
Disturbi da contaminazione – Si tratta di ossessioni e compulsioni connesse a improbabili (o irrealistici) contagi o contaminazioni. Sostanze “contaminanti” diventano spesso non solo lo sporco oggettivo, ma anche carne cruda e persino saponi, solventi e detersivi, contenenti sostanze chimiche potenzialmente “dannose”. Se la persona entra in contatto con uno degli agenti “contaminanti”, mette in atto una serie di sintomi (rituali) di lavaggio, pulizia, sterilizzazione o disinfezione volti a neutralizzare l’azione dei germi e a tranquillizzarsi rispetto alla possibilità di contagio o a liberarsi dalla sensazione di disgusto.
Disturbi da controllo – Si tratta di ossessioni e compulsioni implicanti controlli protratti e ripetuti senza necessità, volti a riparare o prevenire gravi disgrazie o incidenti. Le persone che ne soffrono tendono a controllare e ricontrollare, sia per tranquillizzarsi riguardo al dubbio ossessivo di aver fatto qualcosa di male e non ricordarlo, sia a scopo preventivo, per essere sicuri di aver fatto il possibile per prevenire qualunque possibile catastrofe. All’interno di questa categoria vi sono sintomi quali controllare di: aver chiuso le porte e le finestre di casa, il rubinetto del gas e dell’acqua, aver spento fornelli elettrici, le luci in ogni stanza di casa, non aver perso cose personali lasciandole cadere, ecc..
Ossessioni pure – Si tratta di pensieri o, più spesso, immagini relative a scene in cui la persona attua comportamenti indesiderati e inaccettabili, privi di senso, pericolosi o socialmente sconvenienti (aggredire qualcuno, tradire il partner, offendere persone care, ecc.). Queste persone non hanno né rituali mentali né compulsioni, ma soltanto pensieri ossessivi.
Superstizione eccessiva – Si tratta di un pensiero superstizioso portato all’eccesso. Chi ne soffre ritiene che il fatto di fare o non fare determinate cose, di vedere o non vedere certe cose (es. carri funebri, cimiteri, ecc..), certi numeri o certi colori, di ripetere o non ripetere particolari azioni il “giusto” numero di volte, ecc.. sia determinante per l’esito degli eventi. Tale effetto può essere scongiurato soltanto ripetendo l’atto o facendo qualche altro rituale.
Ordine e simmetria – Chi ne soffre non tollera assolutamente che gli oggetti siano posti in modo anche minimamente disordinato o asimmetrico, perché ciò gli procura una sgradevole sensazione di mancanza di armonia e di logicità. Libri, fogli, tazzine, ecc.. devono risultare perfettamente allineati, simmetrici e ordinati secondo una sequenza logica (es. dimensione, colore, ecc.). Quando ciò non avviene queste persone passano ore del loro tempo a riordinare ed allineare questi oggetti, fino a sentirsi completamente tranquilli e soddisfatti.
Accumulo/accaparramento – E’ l’ossessione che caratterizza coloro che tendono a conservare ed accumulare (e talvolta perfino a raccogliere per strada) oggetti insignificanti e inservibili per la enorme difficoltà che hanno a gettarli.
Compulsioni mentali – Non costituiscono una reale categoria a parte di disturbi ossessivi, perché la natura delle ossessioni può essere una qualunque delle precedenti. Coloro che ne soffrono, pur non presentando alcuna compulsione materiale, come nel caso delle ossessioni pure, effettuano precisi cerimoniali mentali (contare, pregare, ripetersi frasi, formule, pensieri positivi o numeri fortunati) per scongiurare la possibilità che si avveri il contenuto del pensiero ossessivo e ridurre di conseguenza l’ansia.
Fobia sociale (la paura del giudizio e del pensiero negativo della gente, che spesso sfocia in senso di inadeguatezza ed ingiustificata inferiorità)
La caratteristica principale della fobia sociale è la paura di agire, di fronte agli altri, in modo imbarazzante o umiliante e di ricevere giudizi negativi. Questa paura può portare chi ne soffre ad evitare la maggior parte delle situazioni sociali, per la paura di comportarsi in modo “sbagliato” e di venir mal giudicati. Solitamente le situazioni più temute da chi soffre di fobia sociale sono quelle che implicano la necessità di dover fare qualcosa davanti ad altre persone, come ad esempio esporre una relazione o anche solo firmare, o mangiare; a volte può creare ansia semplicemente entrare in una sala dove ci sono persone già sedute, oppure parlare con un proprio amico. . Nelle situazioni sociali temute, sono preoccupati di apparire imbarazzati e, soprattutto, sono timorosi che gli altri li giudichino ansiosi, deboli, “pazzi”, o stupidi. Possono, quindi, temere di parlare in pubblico per la preoccupazione di dimenticare improvvisamente quello che devono dire o per la paura che gli altri notino il tremore delle mani o della voce, oppure possono provare ansia estrema quando conversano con gli altri per la paura di apparire poco chiari. Queste persone cercano in tutti i modi evitare tali situazioni o, se vi sono costrette, le sopportano con un carico di disagio molto elevato.
I sintomi della fobia sociale (legati all’ansia) maggiormente percepiti sono: palpitazioni (79%), tremori (75%), sudori (74%), tensione muscolare (64%), nausea (63%), secchezza delle fauci (61%), vampate di calore (57%), arrossamenti (51%), mal di testa (46%).
Un’altra caratteristica tipica di questo disturbo è una marcata ansia che precede le situazioni temute e che prende il nome di ansia anticipatoria. Così, già prima di affrontare una situazione sociale (per esempio andare ad una festa o andare ad una riunione di lavoro), le persone cominciano a preoccuparsi per tale evento.
Infine, accade spesso che chi ne soffre, quando non si trova in una situazione temuta, riconosca come irragionevole, eccessiva la propria paura e tenda, conseguentemente, ad auto accusarsi, a colpevolizzarsi ulteriormente per le loro condotte evitanti e rimproverarsi per non riuscire a fare cose che tutti fanno. La fobia sociale, se non trattata, tende a rimanere stabile e cronica, e spesso può dare luogo ad altri disturbi come la depressione. Solitamente si distinguono due tipi di Fobia Sociale: semplice, quando la persona teme solo una o poche tipologie di situazioni (per esempio è incapace di parlare in pubblico, ma non ha problemi in altre situazioni sociali come partecipare ad una festa);
generalizzata, quando invece la persona teme pressoché tutte le situazioni sociali.
Disturbo da stress acuto o post-traumatico da stress
Secondo il DSM-IV-TR (APA, 2000), il Disturbo da Stress Post-traumatico si sviluppa in seguito all’esposizione ad un evento stressante e traumatico che la persona ha vissuto direttamente, o a cui ha assistito, e che ha implicato morte, o minacce di morte, o gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri. La risposta della persona all’evento comporta paura intensa, senso di impotenza e/o orrore.
I sintomi del Disturbo Post-traumatico da Stress possono essere raggruppati in tre categorie principali:
1. il continuo rivivere l’evento traumatico: l’evento viene rivissuto persistentemente dall’individuo attraverso immagini, pensieri, percezioni, incubi notturni;
2. l’evitamento persistente degli stimoli associati con l’evento o attenuazione della reattività generale: la persona cerca di evitare di pensare al trauma o di essere esposta a stimoli che possano riportarglielo alla mente. L’ottundimento della reattività generale si manifesta nel diminuito interesse per gli altri, in un senso di distacco e di estraneità;
3. sintomi di uno stato di iperattivazione persistente come difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno, difficoltà a concentrarsi, l’ipervigilanza ed esagerate risposte di allarme.
I sintomi del disturbo da stress post traumatico possono insorgere immediatamente dopo il trauma o dopo mesi.
Gli eventi traumatici vissuti direttamente possono includere tutte quelle situazioni in cui la persona si è sentita in grave pericolo come i combattimenti militari, aggressione personale violenta, rapimento, attacco terroristico, disastri naturali o provocati, gravi incidenti automobilistici, stupri, ecc..
Gli eventi vissuti in qualità di testimoni includono l’osservare situazioni in cui un’altra persona viene ferita gravemente o assistere alla morte innaturale di un’altra persona o il trovarsi di fronte inaspettatamente a un cadavere.
Anche il solo fatto di essere venuti a conoscenza che un membro della famiglia o un amico stretto è stato aggredito, ha avuto un incidente o è morto (soprattutto se la morte è improvvisa e inaspettata) può far insorgere il disturbo da stress post traumatico.
Il disturbo post traumatico può risultare particolarmente grave e prolungato quando l’evento stressante è ideato dall’uomo (per es., tortura, rapimento). La probabilità di sviluppare questo disturbo può aumentare proporzionalmente all’intensità e con la prossimità fisica al fattore stressante.
Il trattamento richiede necessariamente un intervento psicoterapeutico
I sintomi che si possono presentare in seguito ad un’esperienza traumatica non sono univoci. Essi variano a seconda della gravità del trauma, ma, soprattutto, dipendono dalla risposta soggettiva di chi lo ha subito. La risposta all’esperienza traumatica è, prima di tutto, emotivo-corporea. Anche se la persona si trova in condizioni di sicurezza può accadere, che essa sperimenti le stesse emozioni e sensazioni sgradevoli che aveva provato nel momento in cui è avvenuto il trauma. Per esempio, chi ha avuto un incidente d’auto può continuare a sentirsi a disagio e teso in macchina, anche se consapevole che, da anni, guida senza problemi.
Questa iperattivazione emotiva e corporea può portare allo sviluppo di sintomatologie diverse.
Molti autori, oggi, indipendentemente dall’approccio teorico di appartenenza, sostengono che piccoli e grandi traumi, vissuti soprattutto in età infantile, hanno un impatto significativo sull’emergere dello stress psicologico e sullo sviluppo di vari disturbi mentali. Anche aspetti caratteriali, come la timidezza o la tendenza al senso di colpa, possono essere la conseguenza di traumi. In particolare, di traumi interpersonali, come rifiuti, umiliazioni, colpevolizzazioni, tanto più gravi quanto più ripetuti.
Un trauma irrisolto, infatti, costituisce un carico disfunzionale nel cervello di una persona che la rende più fragile rispetto all’impatto con altre possibili successive difficoltà della vita e ne diminuisce la resilienza. Un trauma irrisolto tende a dare vita a modalità di relazione disfunzionali con se stessi, con gli altri e con la realtà interna, che possono diventare la base di sintomatologie diverse.
Disturbo d’ansia generalizzata
La persona con Disturbo d’Ansia Generalizzata sperimenta un costante stato d’ansia, spesso concernente piccole cose e caratterizzato da attesa apprensiva con anticipazione pessimistica di eventi negativi o catastrofici di ogni genere a natura. Oltre a questa eccessiva e incontrollabile preoccupazione per qualsiasi circostanza, si riscontrano anche sintomi somatici, quali sudorazione, vampate, batticuore, nausea, diarrea, bocca secca, nodo alla gola, ecc.. Talvolta vengono lamentati disturbi muscolo-scheletrici, come tensione (soprattutto alla nuca e al collo), tic, tremori, affaticabilità. La tensione muscolare può inoltre esprimersi con manifestazioni algiche diffuse o cefalee. I soggetti con questo disturbo sono spesso irritabili, irascibili, incapaci di rilassarsi e persino di mantenere la concentrazione; sono descritti come persone spesso irrequiete, distratte e impazienti. Frequentemente soffrono di insonnia e rimuginano sull’eventualità di disgrazie incombenti, per sé ed altri.
Il disturbo – tendenzialmente cronico e di lunga durata – può facilmente essere accompagnato da depressione e portare ad un abuso di alcol, caffeina, stimolanti ed altre sostanze.
Per diagnosticare un Disturbo d’Ansia Generalizzato, la caratteristica essenziale del quadro – la presenza di preoccupazioni eccessive inerenti la maggior parte delle comuni attività del soggetto – deve occupare la maggior parte del tempo. La persona non è capace di controllare tale attesa apprensiva. Per la diagnosi sono inoltre necessari almeno tre dei seguenti sintomi:
Irrequietezza o sentirsi “con i nervi a fior di pelle”; Affaticabilità; Irritabilità; Difficoltà di concentrazione o vuoti di memoria; Tensione muscolare; Sonno irrequieto, insoddisfacente o difficoltà ad addormentarsi.
Cause
Fattori ereditari: alcuni studi genetici hanno rilevato che, in circa il 50% dei casi, i soggetti con disturbi d’ansia hanno almeno un familiare affetto da una patologia analoga.
Fattori biologici: secondo alcuni studi effettuati sul cervello umano, l’ansia sarebbe causata da alterazioni della quantità di alcuni neurotrasmettitori, come per esempio un’eccessiva produzione di noradrenalina (l’ormone dello stress) ed una ridotta produzione di serotonina (che regola il benessere) e di GABA (che è un neurotrasmettitore inibitorio)
Fattori inconsci: secondo Freud, padre della psicoanalisi, l’ansia deriverebbe da un conflitto inconscio che può risalire all’infanzia o svilupparsi nella vita adulta. Questo conflitto psicologico mette in moto dei meccanismi di difesa il cui scopo è quello di allontanare dalla coscienza questo stesso conflitto, relegandolo in una sede non accessibile della psiche, che è l’inconscio.
Che fare?
Le possibilità nei trattamenti dei disturbi sono diverse in base al tipo di situazione ansiosa che si affronta. Dal semplice sviluppo di strategie di coping per contenere l’attacco d’ansia, al trattamento farmacologico, alla psicoterapia.
Per prima cosa ci si rivolge al proprio medico che può scoprire se i sintomi che vi spaventano sono dovuti a un disturbo d’ansia, a un’altra patologia oppure a entrambi i fattori. Valutata la situazione può indirizzare verso il professionista più indicato.
Se la diagnosi è di disturbo d’ansia il secondo passo di solito è la visita da uno specialista di salute mentale. I medici più competenti per i disturbi d’ansia sono gli psichiatri per il trattamento farmacologico e gli psicoterapeuti per una eventuale psicoterapia.
Una volta individuato lo specialista con cui siete a vostro agio dovrete fare gioco di squadra con lui ed elaborare insieme una terapia per curare il disturbo d’ansia.
Una volta iniziata la terapia, è importante non smettere di assumere i farmaci da un giorno all’altro. Il dosaggio di alcuni farmaci deve essere diminuito solo sotto controllo medico, altrimenti potrebbero verificarsi effetti collaterali da sospensione. Se gli effetti collaterali vi danno problemi, è possibile eliminarli adeguando il dosaggio del farmaco oppure gli orari o la frequenza a cui lo assumete.
La maggior parte delle terapie farmacologiche contro i disturbi d’ansia è mutuabile. Chiedete comunque consiglio al vostro medico o al farmacista.
Per quanto riguarda la psicoterapia potete rivolgervi a uno specialista che lavora privatamente oppure presso una struttura pubblica.
I disturbi d’ansia non sono una condanna a vita, si possono risolvere, anche in tempi brevi con l’aiuto dei professionisti adeguati. Il vero nemico è il pensiero “posso farcela da solo”, perché purtroppo spesso non è così.