Adolescenti diversi, soli per scelta

Introduzione

Durante il periodo adolescenziale i ragazzi si staccano dalla famiglia per integrarsi nel gruppo dei pari e all’interno di questo cercano una omologazione che li distingua dagli adulti ma anche da altri giovani, si autodefiniscono. Nascono così termini come Gabber, Gotico, Emo intesi come stile, come gruppo a cui appartenere, ragazzi che ascoltano la stessa musica che hanno le stesse idee che vestono con lo stesso stile. Nomi che si danno, in cui si riconoscono che li connota come gruppo uniforme.

Ma alcuni dei nuovi termini che li contraddistinguono sono coniati dalla società. Il mondo degli adulti applica un’etichetta riconoscendo in loro modi di vivere e comportarsi comuni, termini che spesso i ragazzi accettano e ne fanno la loro bandiera. Poco diffusi in Italia, anche se conosciuti grazie ad internet. Le nomenclature di cui tratto in questo articolo, nascondono un disagio ed una ribellione al modello corrente di persona adulta sposata che lavora ed ha una famiglia.

Contesto

I termini si sprecano: netts, hikikomori, freeter, single parassiti, tutti comportamenti caratteristici dei giovani moderni che hanno in comune l’autoesclusione.

Volontariamente si allontanano dal mondo del lavoro, dalla scuola i netts; dalla stabilità e dalle regole sociali i freezer; dagli usuali nodi della vita i single parassiti; dal mondo intero gli hikikomori. Sembra che la ribellione di una generazione, in pieno contrasto con quelle violente degli anni ’60 e ’70, sia ora una ribellione silente.

I moderni ribelli nascono e si sviluppano in Giappone negli USA e nel Regno Unito prevalentemente. Emergono come un problema sociale legato alle trasformazioni della società moderna.

Netts , è l’acronimo di “not in education, employment or training“.

Nel Regno Unito, con questo termine si indicano i giovani fra 16 e 18 che non partecipano alla vita sociale e che “non sono impegnati nel mondo dell’educazione, del lavoro e dell’apprendistato”. Sono giovani che vivono al di fuori dei circuiti della scuola, dell’impiego e della formazione.

Nel Giappone, la classificazione contiene un numero più ampio di giovani fra 15 e 34 anni che sono disoccupati, non sposati, non iscritti a scuola o impegnati in lavori domestici (casalinghe), nella ricerca di lavoro o nell’addestramento tecnico necessario per il lavoro.

Il gruppo dei NEET non contiene un insieme uniforme di individui ma consiste in quelli che saranno NEET per un breve tempo mentre testano le varie opportunità e quelli che sono a lungo termine, a rischio di rimanere al di fuori della società. Ragazzi che non vanno a scuola, che non hanno un lavoro, che quel lavoro nemmeno vogliono imparare o cercare.

Un aspetto interessante è che a “scoprirli” non è una ricerca sociologica o psicologica bensì uno studio della London School of Economics intitolato “The Cost of Esclusion”. Sono i risvolti economici di quella che viene definita «una generazione tradita», le ragioni che li hanno portati alla conoscenza del pubblico sono i costi del loro comportamento un miliardo di sterline l´anno, i 6-7 miliardi di euro che la loro marginalità costa alla collettività. Una ricerca incentrata sui costi sociali di un fenomeno in ascesa.

I NEETs esistono anche in Giappone come rivelano le statistiche dell’occupazione raccolte dal governo giapponese, il loro sviluppo desta preoccupazione a causa dei costi che graverebbero sull’economia del paese

Nel Giappone, il NEETs è il giovane che rifiuta il modello sociale accettato dell’età adulta nella ricerca dell’occupazione a tempo pieno dopo il diploma o un ulteriore scuola. Alcuni esperti dichiarano che la presenza dei NETTs in Giappone è dovuta al ristagno economico esteso in quel paese durante gli anni 90, che ha condotto ad un’alta percentuale di disoccupazione fra la gioventù. Secondo altri invece, come il professor Miyamoto Michiko, pensano che i NEETs siano “una ripartizione della struttura sociale forgiata in una società industriale, in cui i giovani diventano adulti.„ NEET può fare parte di una subcoltura crescente nel mondo giovanile, che comprende anche altri comportamenti di autoescusione e rifiuto della cultura classica del paese come appunto i freeters, i singles parassita e hikikomori, che potrebbero essere considerati un sottogruppo estremo di NEET, che nascono a causa delle opzioni e delle occasioni disponibili per loro nel ventunesimo secolo. La presenza dei Neets nel Giappone e negli Stati Uniti è inoltre un duro per la società.

Secondo Genda Yuji, professore dell’Istituto di Scienze Sociali dell’Università di Tokyo, “il deterioramento delle condizioni dell’ambiente lavorativo può essere una delle cause dell’aumento del numero di Neets”.

Freeter

Freeter è un neologismo, coniato intorno alla fine degli anni 80 (1987/88), forse composto dalla parola inglese free (libero) e dalla quella tedesca Arbeiter (lavoratore). Con questo termine si indica la condizione dei ragazzi di età compresa fra i 15 e i 34 anni, che conclusi gli studi (o l’abbandono degli stessi) si trovano lavori temporanei, precari e brevi o rimangono in famiglia come disoccupati, con l’idea di mantenere quanto più a lungo possibile la propria libertà. In queste condizioni, questi giovani difficilmente possono formare una nuova famiglia.

Freeter indica anche coloro che si muovono continuamente fra i lavori a basso-stipendio.

A volte questa è una scelta del giovane che rifiuta l’idea di essere un dipendente, come i genitori, a volte invece, il giovane non trova un lavoro stabile, accontentandosi di lavori interinali che non gli permettono la costruzione di una propria famiglia.

Single parassiti (“parasite singles “),

I “single parassiti”, rimangono a vivere con i genitori il più a lungo possibile, sia che lavorino sia che siano disoccupati. In alcuni casi contribuiscono alle spese di casa con lo stipendio mentre in altri tendono a spendere tutto per sé, lasciando che ai bisogni domestici ci pensino i genitori.

Situazione che in Italia viene accettata meglio che in altri paesi come gli USA o il Giappone, dove trasformazione delle abitudini comporta non poco disagio per la famiglia nella cui cultura è fortemente presente l’idea che il giorno che il figlio lavora esce di casa per formare il proprio nucleo familiare. Il termine dispregiativo con cui sono chiamati riflette quest’idea individuandoli come persone che tendono ad approfittarsi dei genitori.

Ma emergono pensieri differenti a chi studia il fenomeno come Genda Yuji, professore dell’Istituto di Scienze Sociali dell’Università di Tokyo, con un libro fondamentale sul disagio giovanile nel mondo del lavoro, A nagging sense of job insecurity. “Contrariamente a quanto si crede”, dice, “e cioè che i “parasite singles” beneficino dei diritti acquisiti di vivere alle spalle dei genitori, i veri parassiti sono i genitori, la generazione di mezza età, i lavoratori più anziani, ai quali la società ha conferito diritti acquisiti e che continuano a vivere a spese dei più giovani”. Il cambiamento nelle abitudini dei giovani, dunque, sarebbe l’effetto non la causa della crescente confusione del meccanismo dell’occupazione, che si rivela incapace di adeguarsi al mutamento delle esigenze dei giovani e dei lavoratori più anziani. Quindi la tendenza dei ragazzi a non lasciare la casa paterna è il risultato di una struttura sociale ed economica che tenta di preservare, se non addirittura di rafforzare, i diritti automaticamente acquisiti dei lavoratori più anziani. “Quando si verificano problemi economici sono sempre i più giovani a farne le spese”, continua Yuji. “Allo stesso tempo, sono gli unici che, a dispetto delle loro difficoltà, sfidano lo status quo e portano avanti le promesse di un futuro migliore”.

Sullo stesso piano ci sono i Twixter americani. Twixter è un neologismo nord Americano che descrive una nuova generazione degli States ovvero coloro che sono bloccati, tra l’adolescenza e l’età adulta. Questo neologismo occidentale è ovviamente analogo parasite singles giapponese. Anche in questo caso sono giovani che vivono a lungo in casa con i genitori, anche se lavorano. E a determinare la presenza di questo fenomeno sono le condizioni economiche i prezzi proibitivi delle case ma anche la cultura che posticipa l’ingresso nell’età adulta.

Hikikomori

È una parola giapponese che nel suo significato originale indica lo “stare in disparte, isolarsi, ritiro”, attualmente indica un fenomeno comportamentale che riguarda gli adolescenti e i giovani adulti: in particolare gli hikikomori rifiutano la vita sociale e si isolano nelle loro stanze, interrompendo ogni genere di rapporto con gli altri, fuori dalle mura domestiche. Il giovane passa il tempo giocando con i videogiochi e guardando la televisione durante tutto il proprio tempo libero. L’unico mezzo di comunicazione che usa è internet, con cui si crea un vero e proprio mondo tutto suo, con amici virtuali. Preferibilmente vive di notte e le sue uscite sono limitate al negozio aperto 24 ore su 24.

Molti casi nascono per via di disavventure scolastiche o lavorative oppure per problemi di carattere psicologico. Secondo una stima del Ministero della Saniità giapponese il venti per cento degli adolescenti maschi giapponesi sarebbero hikikomori. In realtà sembrerebbe che questo “stato” affligga non soltanto i ragazzi, ma anche le ragazze.

La parola hikikomori fu coniata dal dott.Tamaki Saito, direttore del Sofukai Sasaki Hospital, quando cominciò a rendersi conto della similarità sintomatologica in un numero sempre crescente di adolescenti che mostravano letargia, incomunicabilità e isolamento totale. Il dott. Saito è oggi il maggior esperto di questo disturbo e ha scritto diversi articoli e libri sull’argomento, compreso: “Come salvare vostro figlio dall’hikikomori”. La diffusione del fenomeno in Giappone ha avuto luogo negli ultimi 10 anni e il dott. Saito stima che un milione di giapponesi ne siano coinvolti, praticamente l’1% della popolazione. Stime più caute parlano di un range compreso fra 100.000 e 320.000 individui. Sebbene esistano anche ragazze, circa l’80% di hikikomori sono maschi, i più giovani hanno 13-14 anni, e i ritiri, questa sorta di “autosequestri”, possono durare anche più di 15 anni. Sulle cause del fenomeno si fanno solo ipotesi. Come l’anoressia, la cui diffusione è pressoché limitata alle culture occidentali, anche l’hikikomori sembra essere una sindrome culturale che si sviluppa in un paese specifico durante un particolare momento della sua storia.

I giapponesi hanno dato la colpa a qualunque cosa: alle madri oppressive e a quelle assenti, ai padri troppo impegnati, al bullismo scolastico, all’economia in recessione, alle pressioni accademiche e ai video game. Ma il tutto va probabilmente collocato sullo sfondo di una società sociologicamente in crisi e che, soprattutto, si nutre di una cultura dalle caratteristiche uniche al mondo e non sempre “sane”. James Roberson, antropologo culturale al Tokyo Jogakkan College ed editore del libro “Uomini e mascolinità nel Giappone contemporaneo” punta il dito su un particolare atteggiamento giapponese nei confronti del successo personale. Secondo Roberson i ragazzi cominciano a percepire una forte pressione all’autorealizzazione già nella scuola media e l’hikikomori potrebbe essere una resistenza a questa pressione. Anche il dott. Saito, che ha trattato più di 1000 hikikomori, attribuisce il disagio al contesto familiare e sociale, all’interdipendenza fra genitori  e figli e alle pressioni su di essi, in particolare quelli più grandi, perché siano eccellenti negli studi e nella professione. Se un ragazzo non segue un preciso percorso verso un’università d’elite o un’ azienda di prestigio molti genitori, e di conseguenza i loro figli, vivono questo come un grave fallimento. Molti fra gli stessi pazienti raccontano di anni scolastici da incubo, di episodi di bullismo, in cui venivano maltrattati per essere troppo grassi o troppo magri o persino per essere migliori di qualcun altro nello sport o nella musica. Come usano dire i giapponesi: “Il chiodo che sporge va preso a martellate”…

I sintomi: Oltre all’isolamento sociale gli hikikomori soffrono tipicamente di depressione e di  comportamenti ossessivo compulsivi, ma non è facile comprendere se questi siano una conseguenza della reclusione forzata a cui si sottopongono o una concausa del loro chiudersi in gabbia. Alcuni hikikomori si fanno la doccia per diverse ore al giorno e indossano guanti spessi per tenere a bada i germi, mentre altri strofinano le mattonelle nella doccia per ore e ore. Nonostante lo stereotipo sia quello di un uomo che non lascia mai la sua stanza, molti reclusi si avventurano fuori, una volta al giorno o una volta alla settimana, per andare in un Konbini, un supermarket aperto 24 ore. Lì possono trovare colazioni a portar via, pranzi e cene, e poiché di solito si svegliano a mezzogiorno e vanno a dormire al mattino presto, il konbini è una scelta sicura e anonima a tarda notte. La cassiera non parla e tutti gli altri stanno a casa a dormire.

Perchè il Giappone? In altre società i problemi di adattamento giovanile sono i medesimi, quello che cambia sono probabilmente le risposte che un ragazzo occidentale può fornire. Si può entrare in una gang, si può diventare “gotici” o diventare parte di qualche altra subcultura. In Giappone invece, dove l’uniformità è ancora la norma e la reputazione e le apparenze esteriori sono importantissime, la ribellione si trasforma in forme mute come l’hikikomori. Quello che in altre culture si esplica con l’abuso di sostanze o altri fenomeni “rumorosi”, in  Giappone si tramuta in apatia e in altre “proteste silenziose”. La clinica. Nell’articolo del NYT si descrive il programma “New Start” che offre un alloggio in comunità e un programma di formazione-lavoro. Gli operatori sono per lo più ragazze, che lavorano, anche molti mesi, per instaurare un legame che costituisca un ponte sicuro fra l’hikokomori e il mondo esterno. Una volta a settimana, l’operatrice fa visita al ragazzo convincendolo gradatamente a uscire dalla sua stanza e poi a lasciare la propria casa per cominciare il programma New Start. In qualche caso ci vogliono molti mesi, in qualche altro anche anni.

Dopo che in un programma della BBC si parlò degli HIkikomori quale fenomeno giapponese, l’home page della BBC ricevette numerosi messaggi da cittadini britannici che affermavano che nel regno unito avevano avuto esperienze personali con degli Hikikomori, mostrando come il fenomeno non fosse solo orientale.

E in Italia?

Questo excursus, sulle nuove “parole” per gli adolescenti, riportano situazioni di disagio che sono codificate e riconosciute altrove, principalmente in Giappone. Situazioni giovanili che preoccupano per la diffusione e per gli effetti sociali. Ma solo in Giappone o nel mondo angosassone?

Nella mia pratica professionale ho avuto qualche caso che mi ha dato da pensare:

Mi chiama la signora S. preoccupata per il figlio R. chiede un appuntamento, viene in seduta col marito. Non sanno più che fare col figlio è diverso tempo che si è chiuso in casa, in camera per la precisione, passa delle ore davanti al computer, la notte. Esce di casa solo per comprare le sigarette dal distributore automatico del negozio vicino al portone. Se ha bisogno di qualcosa chiede ai genitori. Non lavora, non studia, i genitori si colpevolizzano ma non sanno che fare.

Vedo il giovane C. ha finito la scuola a fatica, anche se a 16 anni ha preferito, a seguito di una bocciatura, frequentare la scuola serale, assieme agli adulti si trova meglio. Non trova lavoro, non ha voglia di cercarlo, preferisce guardare DVD o giocare con la playstation. Attualmente ha delle difficoltà con i pochi amici che ha perchè rifiuta sempre gli inviti ad uscire, preferisce che vengano loro a trovarlo per guardare un film o giocare ai videogiochi.

A. invece vorrebbe andare a vivere per conto suo, non vuole più stare con i genitori ma ha un contratto a tempo determinato, e ha paura di non riuscire con le spese se va via di casa, nel periodo (di solito di circa due mesi) in cui non lavora, mentre G. anche lui lavoratore interinale con la famiglia ci sta benissimo e non vuole lasciare la casa paterna mentre la fidanzata vorrebbe andare a vivere con lui.

Questi casi rappresentano situazioni di sofferenza simili a quelle sopra descritte, quasi come se l’autoesclusione fosse la rappresentazione del disagio.

In tutti questi casi si rivela una grossa difficoltà relazionale ed un problema ad affrontare il mondo sociale con le sue richieste e le sue interazioni complesse. Difficoltà a cui i giovani reagiscono chiudendosi. Utilizzando i mezzi comunicativi che gli sono propri, intenet ed il modo virtuale.

In questo contesto mi chiedo quale sia il significato di giochi come “Second Life”, un modo virtuale in cui puoi scegliere un’altra vita.

Conclusioni

La “scoperta” di questi pattern comportamentali che sottostano un disagio è avvenuta in giappone un paese molto lontano per cultura dal nostro, la diffusione però in USA e in Gran Bretagna può far pensare ad un espressione di disagio non legata alla cultura del luogo di origine ma del mondo moderno. Negli anni 60/70 i giovani sono scesi in piazza per ribellarsi alla cultura del mondo adulto che imponeva loro dei limiti a cui non volevano più sottostare, in questo modo hanno risolto uno dei compiti evolutivi dell’età, la ribellione l’allontanarsi dal mondo adulto per poter dire noi siamo diversi. Ora la ribellione è diversa, forse per distinguersi anche dai genitori che hanno fatto della scesa in piazza la loro bandiera, gli adolescenti fanno l’opposto. Invece di chiedere gridando un posto nella società rinunciano, si ritirano e restano a vivere da eterni adolescenti senza imporre la differenza. Senza crescere portando con se enormi sofferenze e la sensazione (ansia) di non potercela fare.

Bibliografia

JONES M. “Shutting Themselves In” in The new york times Published: January 15, 2006

I ragazzi hanno problemi di adattamento ovunque. In occidente diventano vagabondi o drogati, in Giappone cadono dell’apatia”. “ Hanno passato l’adolescenza a sudiare in funzione di un mondo del lavoro che si è ridimensionato. E ora si sentono inadeguati”. “La maggior parte dei genitori pensa che la malattia Hikikomori riveli il fallimento dell’educazione che han dato ai figli” .[ Maggie Jones]

  1. Fonte : The new york times magazine Petri Horst, Valori traditi, Koinè 2003

  2. Fabio M Lo Verde (S)legati  (d)al lavoro , Franco Angeli 2005

Genda Yuji, A Nagging Sense of Job Insecurity: The New Reality Facing Japanese Youth, LTCB International Library Trust, International House of Japan, March 2005, pp.203.

Genda Yuji the “NEET” problem in Japan

Newsletter of the lnstitute of Social Science, University of Tokyo

Social Science 32 September 2005