Cecità ipovsione e famiglia

A seguito di una cecità traumatica o degenerativa, tutti i ruoli familiari si riorganizzano e nella persona affetta si può insinuare il timore di non essere capito e accettato da chi gli sta intorno. Ciascun membro in qualche misura si confronta con le difficoltà e lo stress conseguente alla nuova condizione e ciò va ad incidere sull’equilibrio del sistema familiare manifestandosi sotto forma di conflitto.

Alla buona riuscita dell’accettazione emotiva della malattia contribuisce grandemente l’atteggiamento della famiglia e delle persone a cui la persona è affezionata e che costituiscono, per lui, un riferimento e una guida. L’accettazione (sia cognitiva che emotiva) della cecità deve avvenire anche da parte di queste ultime e solo questa doppia accettazione, che coinvolge il soggetto e gli altri intorno a lui, renderà più facile ed agevole il superamento della depressione e dei conseguenti atteggiamenti di autosvalutazione e di ritiro sociale.

Il comportamento ideale da parte di amici e parenti consiste in un atteggiamento di accettazione della persona divenuta cieca e di tutti i cambiamenti che ciò comporta. In questo caso essi riusciranno a vincere, o quantomeno a contenere, l’angoscia che la cecità della persona cara suscita in loro evitando quei comportamenti che di tale angoscia sono sintomi come il distacco emotivo e affettivo, un comportamento iperprotettivo e soffocante, associato spesso a un profondo quanto immotivato senso di colpa. E’ importante sottolinere il ruolo essenziale giocato dal sostegno familiare nel mantenere l’equilibrio psicologico e nell’affrontare in modo positivo le numerose sfide intra ed interpersonali conseguenti alla cecità acquisita. La famiglia deve comprendere il fatto che, a seguito di una perdita di funzionalità, il soggetto mette in atto una serie di meccanismi di difesa utili per l’autoprotezione del singolo.

L’ atteggiamento eccessivamente ansioso, iper-protettivo e soffocante dell’ambiente sociale può, in alcuni casi, provocare un ritardo nell’acquisizione dell’autonomia personale e forte senso di dipendenza dalle figure genitoriali e di accudimento. Spesso questi problemi sono indotti dalle famiglie stesse che finiscono per costruire un legame di forte dipendenza con il figlio, ostacolandone il processo di crescita, di maturazione psicologica e affettiva, di sviluppo delle facoltà intellettive e di quel percorso di emancipazione cognitiva e psicologica che Jung ha chiamato individuazione. È frequente incontrare casi di isolamento sociale, di ritardo nell’acquisizione di elementari competenze relative all’autonomia di base. Inoltre, questi ragazzi vivono in una condizione di costante dipendenza psicologica arrivando a non tollerare il distacco o la lontananza dai genitori. L’ansia per tutto ciò che è nuovo, l’incapacità di trovare una collocazione soddisfacente nel mondo del lavoro, nelle relazioni sociali e sentimentali e una propria stabilità emotiva rappresentano le sintomatologie più frequenti. L’atteggiamento dei genitori è, a sua volta, collusivo: spesso dipende da un profondo bisogno di espiare la colpa per aver “trasmesso” al figlio la malattia o dal bisogno, soprattutto delle madri, di sedare la propria preoccupazione. Tre punti necessari affinchè l’adattamento del singolo e della famiglia si compia in modo positivo: una conoscenza piena e realistica degli aspetti comportati dalla cecità, una condivisione completa all’interno del nucleo, una comunicazione schietta dei vissuti e delle difficoltà.